“In his own words” – David Bailey
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L’ho incontrato una decina di anni fa ad una mostra a Milano, presentava una sua personale sugli Anni Sessanta e la Swinging London, se ne stava in disparte, lo sguardo basso e il fare di chi vorrebbe evitare a tutti i costi il contatto con il pubblico.
Non ho resistito. Quell’uomo, che allora aveva sessantina d’anni circa, era uno dei fotografi che aveva maggiormente contribuito a formare il mio personalissimo pantheon di icone musicali, mostri sacri come Jagger, Lennon, Hendrix.
Mi sono avvicinato e gli ho stretto la mano, lui, con un’estrema cortesia, mi ha firmato l’invito alla mostra e ha masticato un timido thank you, che lo ha dapprimo portato tra i comuni mortali, per poi rilanciarlo immediatamente nell’olimpo dei miei semi-dei dell’obiettivo – dove tutt’ora alberga, in compagnia di qualche altro.
Non ho resistito. Quell’uomo, che allora aveva sessantina d’anni circa, era uno dei fotografi che aveva maggiormente contribuito a formare il mio personalissimo pantheon di icone musicali, mostri sacri come Jagger, Lennon, Hendrix.
Mi sono avvicinato e gli ho stretto la mano, lui, con un’estrema cortesia, mi ha firmato l’invito alla mostra e ha masticato un timido thank you, che lo ha dapprimo portato tra i comuni mortali, per poi rilanciarlo immediatamente nell’olimpo dei miei semi-dei dell’obiettivo – dove tutt’ora alberga, in compagnia di qualche altro.
Oggi leggo su Icon una sua intervista e non posso fare a meno di rubarne qualche passaggio ed ecco che ne esce un David Bailey tanto sopra le righe, quanto disincantato e avverso al glitter and glam di un certo mondo, costruito e paludante.
Sulla fotografia. La gente mi chiede “come fai a sapere dove mettere la macchina fotografica?” e io rispondo “la puoi mettere dove vuoi, quello che conta è quello che c’è di fronte. Sembra che nessuno ci arrivi.”
Arte. O sei un artista, o non lo sei
Il digitale. Il digitale ha fatto sì che tutti gli scatti sembrino uguali, e se non puoi più capire chi ha scattato la foto, per me non ha senso. Riesco sempre a capire se una foto è di Helnut, o di Avedon o di Beaton. Oggi invece mi sembrano tutte uguali.
Sulla vita. Nella vita tutto accade per caso, servono tre cose per andare avanti: geni forti, un discreto fatalismo e un pizzico di culo.
L’intervista è ricca di aneddoti sulla vita di Bailey e sulla sua arte e la consiglio davvero a tutti gli appassionati di fotografia, un graffiante e sincero punto di vista di chi la storia della fotografia l’ha decisamente scritta,
Divertente un passaggio nel quale il settantaseinne fotografo londinese ricorda quando era stato incaricato di scattare Oliver Stone. Il regista entrò nel suo studio dicendo che aveva soltanto cinque minuti. Bailey scattò una polaroid al volo e disse “Ok, abbiamo finito, puoi andare.” E Stone, “Che vuol dire abbiamo finito?”. E Bailey, “Hai detto che avevi soltanto cinque minuti, o avevo capito male?” Il fotografo racconta poi che Stone si fermò tutto il giorno.