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Diventiamo cantastorie digitali

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Lo spunto me lo ha dato un libro che ho appena acquistato, un saggio di Jerod Foster sulla fotografia che si intitola ‘A photographer’s guide to devolping themes and creating stories with pictures‘ – a parte il titolo piuttosto lungo, ‘Una guida per fotografi allo sviluppo di temi e alla creazione di storie attraverso le immagini’, è una lettura di grande ispirazione per chiunque ami la fotografia in senso assoluto (che si tratti di hobby o professione).

Foster si concentra su un aspetto del girare con la macchina al collo che trovo entusiasmante ed affascinante: la capacità di riuscire a raccontare storie e di farlo attraverso i propri scatti.

Chi è uno storyteller fotografico?
In inglese storyteller significa racconta storie, appunto. Si può diventare storyteller impugnando una reflex? Sì, e, secondo me, dovrebbe essere un po’ l’obiettivo di chi fotografa, amatore o professionista che sia, non importa.

Saper raccontare una storia, attraverso le immagini è quanto ci separa dal turista con la macchina al collo.
No! Non sono le migliaia di euro di differenza tra la nostra attrezzatura e la sua reflex primo prezzo, non è neppure la location, perché ormai anche i luoghi più remoti, che fino a qualche anno fa erano a portata di click dei soli professionisti, ora sono mete raggiungibili… la differenza sta nel saper raccontare una storia e saperlo fare in modo che possa interessare, accattivare, coinvolgere, eccetera, eccetera, eccetera…

Dobbiamo imparare a cambiare registro, passare dal fare fotografie a creare fotografie, come diceva Ansel Adams, mostro sacro della fotografia
Ma cosa significa creare? Personalmente credo che significhi interpretare la realtà che ci circonda e allineare la testa, l’occhio e il cuore, per dirla con un’altra citazione, questa volta di Henri Cartier-Bresson. Jerod Foster, nel libro che cito in apertura di post, dà una sua personale definizione e scrive ‘usare la macchina fotografica come una cassa di risonanza.

Nei miei workshop amo ripetere che anche il racconto fotografico, come quello letterario ha i suoi stili e i suoi generi.

Ad esempio la street photography è paragonabile ai racconti brevi, ogni scatto deve consegnare un messaggio finito, più o meno esplicito, ma finito. Non c’è spazio per approfondire attraverso altri scatti.

Un reportage di viaggio è paragonabile ad un romanzo, più personaggi, più punti di vista e quindi la possibilità di approfondire, di dettagliare. Come in un romanzo ben scritto, servono un’apertura forte, uno sviluppo, un climax e una chiusura.
Magari la nostra storia avrà bisogno di molti più scatti, di panorami e di dettagli, di volti e noi dovremo imparare a creare un ritmo narrativo che sappia raccontare il nostro progetto.

Quella che alcuni chiamano photo story – un reportage più contenuto – è invece paragonabile ad un racconto, dove la voce narrante offre soltanto un punto di vista e dove gli sviluppi del progetto sono più contenuti, anche nel numero degli scatti – pensiamo ad esempio ad un editoriale di qualche pagina, tre, quattro foto al massimo per coprire un soggetto.

Vi ho confusi!? Mi auguro di no, ma l’idea che si possa diventare degli storyteller per immagini, la trovo intrigante e motivante.

Le caratteristiche di un photo-storyteller.
Conosce la tecnica, anche quella avanzata, ne è padrone, ma è intrigato dalla visione, concentrato sul messaggio è votato al racconto.

Per lui la macchina fotografica è soltanto uno strumento e il pedaggio che paga alla tecnologia, in termini di euro, è la sua assicurazione che il mezzo meccanico non lo molli per strada sul più bello – ecco la ragione di una macchina efficiente, di un parco obiettivi di buona qualità, di un cavalletto robusto, ma leggero e di un flash che non perde un lampo.

Nonostante lo storyteller sia concentrato sul messaggio e sulla vision, non può prescindere dal conoscere la tecnica, solo attraverso la tecnica può creare quello che vede il suo occhio fotografico, non dimentichiamocelo, sarebbe come se Picasso non avesse saputo che mischiando giallo e blu avrebbe ottenuto del verde – giusto per essere banali.
La tecnica e l’aritmetica spicciola devono essere date per scontato – inutile lanciarsi in un progetto di ritratti ambientati senza conoscere a menadito la tecnica alla base dell’illuminazione mista ambiente/flash e senza conoscere tutte – e dico TUTTE – le funzioni e le possibilità offerte dalla combinazione flash+macchina.

Impariamo a raccontare storie con i nostri scatti e, sono certo, che diventeremo fotografi migliori – e magari anche persone migliori, perché no.

Questo è un argomento che mi affascina molto, ci tornerò con altri post a breve. Spero che interessi anche voi.

Pubblicato da walter meregalli in aprile 2, 2014

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