Posts contrassegnato dai tag ‘fotografia di viaggio’
Vivian Maier: il fascino misterioso della fotografa bambinaia
Sono contento, e al tempo stesso un po’ spaventato, dall’enorme successo di pubblico e mediatico che sta avendo la mostra di Milano dedicata a Vivian Maier e alla sua fotografia.
La Maier, per molti sconosciuta fino a pochi mesi fa, offre un lavoro di grandissima qualità che abbraccia circa 30 anni, dai primi anni Cinquanta, fino agli ultimi scatti degli anni Settanta.
Leggo che il successo di questa fotografa è in parte dovuto al mistero che avvolge la sua vita e all’eccentrica combinazione di bambinaia e di fotografa; personalmente credo che il successo della Maier sia tutto nelle sue fotografie, spesso ruvide, ma sempre molto evocative.
Vivian Maier scattò gran parte del suo lavoro a Chicago e a New York, lungo le strade dei quartieri che frequentava e conosceva molto bene e, sempre secondo una personalissima analisi, gran parte del fascino che è proprio degli scatti della fotografa nata nel Bronx a metà degli anni Venti, è proprio in questa caratteristica: Vivian Maier conosceva profondamente ciò che immortalava.
La mostra a lei dedicata – “Vivian Maier: una fotografa ritrovata” – è molto ben organizzata e invito chiunque ami la fotografia e abbia modo di essere a Milano, di andarla a vedere.
“(…) Seppur scattate decenni or sono, le fotografie di Vivian Maier hanno molto da dire sul nostro presente (…), scrive Marvin Heiferman nel testo che accompagna il catalogo ufficiale della Contrasto. Sono completamente d’accordo. Di fronte agli scorci di vita da strada della New York degli anni Cinquanta o Sessanta proposti dagli scatti di Vivian Maier, sembra di essere al cospetto di immagini scattate qualche anno fa, o addirittura ieri, se non fosse per gli abiti.
Chiunque fotografi, chiunque si diletti di street photography, chiunque ami la fotografia DOVREBBE fare un salto allo Spazio Forma e omaggiare questa grande sconosciuta giustamente ritrovata.
Uscendo dalla mostra, contento e appagato, per una volta tanto, sono stato però raggiunto da una paura: spero soltanto che i molti che si sono avvicendati per vedere la Maier, colti da una folgorazione fin troppo repentina e superficiale, non escano domani e comincino a scattare in strada a caso, pensando di fare street photography. Purtroppo, il rischio c’è, perché è molto sottile la differenza tra gli scatti d’autore in mostra e gli scatti casuali di molti di noi.
Nulla, nelle fotografia di Vivian Maier, è casuale. Tutto racconta. Questo dovrebbe indicarci un distinguo e trattenerci dal puntare le nostre reflex a caso. Vivian Maier conosceva profondamente le strade che fotografava, le viveva, ci lavorava. Questo dovrebbe aiutarci ancora di più: non si può fare street photography senza essere locali.
VIVIAN MAIER: Una fotografa ritrovata
Fondazione Forma
Via Meravigli 5 – Milano
Fino al 31 gennaio
clicca qui per maggiori informazioni
Collezionare stampe fotografiche
Il mercato delle stampe fotografiche è in crescita e sempre più persone si avvicinano.
Proviamo ad affrontare assieme alcuni degli aspetti più importanti legati all’acquisto di una stampa fotografica.
Come faccio a sapere se si tratta di un originale?
Le stampe da collezione sono sempre autenticate.
I metodi di autenticazione della stampa possono essere diversi: timbri a secco, timbri ad inchiostri posti sul retro, filigrane e firme autografe dell’autore.
Cos’è un’edizione?
Il concetto di edizione è molto caro al mercato dell’arte, prima ancora che la fotografia venisse considerata degna di farne parte.
In origine veniva utilizzare per numerare le copie di sculture, stampe, libri e altre forme d’arte riproducibili.
Il metodo si applica perfettamente anche al mercato delle stampe fotografiche.
Il fotografo generalmente decide il numero di stampe che andrà a fare di una determinata fotografia, creando così un’edizione.
Solitamente all’edizione viene associato anche il formato, questo significa che se la fotografia verrà messa sul mercato in formati diversi, potrebbero esistere edizioni diverse (una per formato), ma molti autori preferiscono legare l’edizione allo scatto, a prescindere dal formato in cui la stampa verrà poi realizzata.
L’autore si impegna a non produrre ulteriori copie della stampa una volta che ha raggiunto il limite massimo previsto dall’edizione.
Il fotografo non è tenuto a produrre tutte le copie di un’edizione in una tiratura unica, ma può decide di stampare ogni qual volta la fotografia viene venduta.
All’autore viene inoltre concesso un numero limitato di prove d’autore, spesso abbreviato con l’acronimo PDA. Le prove d’autore sono un’estensione dell’edizione che il fotografo può usare per scopi personali, quali regali a collaboratori o riconoscimenti vari.
Come viene indicata l’appartenenza ad un’edizione?
Solitamente l’autore numera la copia in questo modo:
n/X
dove n rappresenta il numero progressivo della stampa e X il numero limite delle stampe appartenenti a quell’edizione.
Per cui, ad esempio 3/50, significa che quella è la terza stampa di un’edizione di cinquanta. Solitamemte, accanto alla numerazione progressiva, l’autore appone la sua firma.
Come faccio a sapere che l’autore non produrrà stampe oltre il limite dell’edizione?
Questo è un punto nodale del mercato delle stampe fotografiche e si basa fondamentalmente su un rapporto di fiducia tra artista e acquirente o eventualmente tra artista, galleria e acquirente.
Non va dimenticato che è tutto nell’interesse del fotografo (e dell’eventuale galleria) comportarsi in modo corretto.
Chiunque può fare copie di una foto, come mi difendo dalle copie non autorizzate?
E’ molto semplice: solo le copie che fanno parte dell’edizione autorizzata saranno autenticate. Tutte le altre copie saranno da considerarsi abusive.
Perché alcune stampe sono più costose di altre?
E’ il mercato che stabilisce il prezzo di una stampa.
I fattori che generalmente influiscono sul prezzo finale di una stampa sono: notorietà dell’autore, dimensioni della stampa, appartenza ad un’edizione con tiratura particolarmente limitata, appartenenza ad una serie di prove d’autore, presenza di dediche particolari da parte dell’autore.
Ritratti: l’importanza del gesto
Molti fotografi concordano che gli occhi siano l’elemento chiave in un ritratto, alcuni, addirittura, non concepiscono un ritratto senza che il soggetto non guardi dritto in macchina.
Personalmente non sono così rigido, amo i ritratti dove il soggetto è di profilo, tanto quanto quelli dove lo sguardo è dritto e diretto all’obiettivo.
Chiaramente quando il soggetto guarda in macchina ingaggia una relazione con chi guarda decisamente più potente e solida, ma non per questo dobbiamo privarci della possibilità di variare la posa.
Un dettaglio del quale invece pochi parlano è il gesto.
Anche se stiamo scattando un ritratto, e quindi siamo concentrati sul volto e sull’espressione del nostro soggetto, non sottovalutiamo l’importanza dei gesti, i gesti hanno la forza di caratterizzare meglio il nostro soggetto, oltre che di rendere un ritratto più interessante e meno scontato.
Vi mostro un esempio pratico, e giudicate voi stessi.
Ecco due scatti dello stesso soggetto, si tratta di due ritratti scattati a distanza di pochi secondi l’uno dall’altro, nelle stesse condizioni di luce e mantenendo inquadratura e focale più o meno simili.
In entrambi i casi il soggetto guarda in macchina – per buona pace dei puristi del ritratto – nel secondo il gesto di appuntirsi il baffo, sono riuscito a cogliere un gesto che rende il ritratto più interessante, più singolare.
Questo riusciamo a farlo quando la fretta non ci assilla e quando riusciamo, anche al di là della barriera che impone una lingua diversa, instaurare un rapporto con chi stiamo fotografando.
In questo caso, risolti i conticini di base relativi all’esposizione e scelta l’inquadratura, mi sono concesso un po’ di tempo e ho provato a conversare con il mio soggetto – la maggior parte dello scambio verbale era improntato sul “yes, thank you”, “ok, one more, if you please” e tanti, tanti, tanti sorrisi.
Degli scatti effettuati, quello dove si liscia il baffo è senza dubbio quello che mi soddisfa maggiormente.
Quale borsa portarsi in viaggio
La borsa è un accessorio di vitale importanza, in particolar modo quando si fotografa in viaggio.
Scegliere la borsa giusta è un momento fondamentale.
Come potrete chiaramente immaginare NON esiste una borsa ideale per ogni occasione, ma è comunque possibili individuare una tipologia di borsa che faccia al caso nostro, nella situazione specifica.
Questo non significa per forza possedere decine di borse fotografiche diverse.

Il mio zaino pronto per uscire
Personalmente posseggo una Vertex 100 AW della Lowepro – marca alla quale sono affezionato da molti anni e che non mi ha mai tradito. Si tratta di uno zaino piuttosto compatto che mi permette di girare con un corpo macchina, tre obiettivi, un flash, un computer/ipad e un po’ di accessori. La mia Vertex ha due tasche sul davanti che mi permettono di buttarci dentro un po’ di roba varia – ad es. chiavi, occhiali, registratorini MP3, mini torce, ecc.
Non so dirvi se sia la migliore borsa disponibile sul mercato, ma per quello che serve a me lo è.
Capiente quanto basta (anche perché l’attrezzatura che vi ho descritto, e che mi porto in giro sempre, pesa un bel 10 chili), dotata di una protezione per la pioggia, di un aggancio per il cavalletto e con le cerniere sigillate, la mia Vertex mi assicura affidabilità inj ogni situazione. E in più sta nelle dimensioni consentite per essere imbarcata con me quando volo.
Perché vi racconto della mia borsa e non vi faccio un elenco di borse e modelli disponibili?
Perché vorrei farvi capire quanto sia soggettiva la scelta e secondo quali criteri l’abbia fatta.
Riepiloghiamo, la borsa deve:
- contenere agevolmente TUTTO la vostra attrezzatura standard
- contenrere un po’ di più (!)
- avere gli scompartimenti imbottiti e mobili, riposizionabili con il velcro
- essere a prova di intemperie
- poter essere imbarcata senza problemi da qualsiasi compagnia aerea
- essere leggera
- essere robusta
- pratica (e questo conta molto e conta molto il modo in cui siete abituati a scattare
Non importa che sia uno zaino o che sia una tracolla, non importa che si tratti di un leggero modello monospalla e una borsa rigida stile flight case, quello che conta è che vi torni comoda e non vi intralci.
Il mio consiglio è di evitare i colori sgargianti e fluorescenti che hanno fatto la loro comparsa nel monocromatico universo delle borse fotografiche da qualche tempo, attirano troppo l’attenzione ed evitate anche di acquistare quei modelli ricoperti di patch con sopra scritto photographer o I love photography, ci sono posti dove non è prudente gridare che abbiamo del costoso materiale addosso e altri dove i fotografi non sono proprio i primi benvenuti.
Tasche e imbottiture sono i dettagli da verificare e non sottovalutare.
Controllate anche che al suo interno sia presente almeno una di quelle tasche a rete (mesh pocket), utilissime per buttarci dentro card, batterie e altri piccoli accessori.
Quali marche?
Io sono un fedele estimatore di Lowepro – che però ha il difetto di costare un po’. Tamrac è altrettanto valida. Tenba, Manfrotto e Kata per citarne solo alcune.
Quanto spendere?
Non lesinate, gli state affidando la vostra attrezzatura, ma assicuratevi di fare l’acquisto corretto. Non vergognatevi di provare, di aprire, di valutare modelli diversi.
Ritratti in viaggio: qualche trucco
Un volto interessante può raccontare l’anima di un viaggio per sempre. Un incontro inaspettato, che di traduce in un bello scatto, può svelare molto più che non decine di fotografie dal sapore più ovvio.
In viaggio non disponiamo sempre di tutto il tempo che vorremmo e queste deve insegnarci a fare bene, ma spesso in fretta.
Come si fa? Ci si prepara sui luoghi che andremo a visitare, ma soprattutto si cerca di conoscere al meglio la nostra attrezzatura – non solo la macchina.
Ritratti, qualche trucco rapido.
Spesso il ritratto in viaggio, a meno che non venga precedentemente concordato, si risolve in poco più di una manciata di minuti, minuti durante i quali dobbiamo scegliere l’inquadratura, metter in posa il soggetto, fare di conto, comporre e scattare. Come fare?
Portiamo sempre con noi un piccolo flash e temiamolo a portata di mano, se non è necessario non usiamolo, complicare le cose semplici, quando non c’è tempo è da perfetti idioti.
Per cui, per prima cosa, cerchiamo la soluzione migliore con la luce ambiente disponibile.
I migliori ritratti in luce ambiente, secondo me, sono quelli che sfruttano il contrasto naturale luce/ombra. Cerchiamo luoghi attorno al soggetto che ce lo offrano.
Scattiamo subito qualche test, ma evitiamo di mostrare i test al nostro soggetto, facciamo soltanto quando siamo certi di avere qualcosa di buono da mostrare.
Usiamo un tele di media lunghezza, comprime la prospettiva e offre una profondità di campo limitata, che aiuta a staccare il soggetto dal contesto.
Nel caso volessimo invece aggiungere contesto al ritratto – sempre però rispettosi del fatto che il contesto non mangi il soggetto – usiamo anche ottiche più piccole, come un grandangolo (non troppo spinto). Cerchiamo di tenere sempre a mente che sotto i 50 mm gli obiettivi tendono a falsare le proporzioni e nessuno ama vedersi ritratto col nasone o con una testa molto più piccola del corpo.
Sfruttiamo vetrate e finestre, sono i nostri soft box naturali. Evitiamo la luce diretta del sole , costringe il soggetto a strizzare gli occhi e crea fastidiose ombre scure sotto naso e mento.
Se la luce a disposizione non è sufficiente o non è qualitativamente all’altezza, non tergiversiamo oltre e impieghiamo il flash.
FLASH DIRETTO = DISASTRO ASSICURATO, mettiamocelo in testa, per cui se non possiamo evitare di montare il flash sulla slitta, cerchiamo almeno di puntare la testa del flash verso l’alto, se il flash non dispone di un cartoncino che, quando puntato verso l’alto, riflette il lampo, usiamo il palmo della nostra mano leggermente curvo e rivolto verso il soggetto.
Proviamo anche a puntare la testa del flash lateralmente, magari su un muro, facendo attenzione al colore del muro e alle eventuali dominanti che questo introdurrebbe.
Aggiungiamo del dramma, leggiamo la luce, sottoesponiamo – usando la compensazione – e usiamo il flash, in TTL, per far uscire il soggetto, così avremo degli scatti più interessanti. Il flash calcolerà la giusta potenza per aggiungere un fill-in, ma, con l’ambiente sottoesposto, il risultato sarà più interessante. Attenzione che la compensazione agisce anche sulla luce flash, per cui, se sottoesponiamo troppo, dobbiamo aumentare un po’ sul versante flash.
Se non abbiamo dei modificatori, usiamo un foglio di carta bianca leggera da mettere davanti al nostro flash.
Facciamo tre o quatto inquadrature diverse, ma rapidamente, mostriamo ciò che abbiamo scattato e congediamo il nostro soggetto – max. 10 minuti.
Se promettiamo di spedire le stampe o i file degli scatti al soggetto, FACCIAMOLO!
Ancora poesia, scattiamo il cielo
Nel precedente post abbiamo parlato di atmosfere elusive e di come usare alcuni fenomeni atmosferici per aggiungere poesia ai nostri scatti, in questo post, invece, vediamo come il cielo possa diventare il protagonista delle nostre foto in viaggio e aggiungere quel tocco di sogno-
Il primo problema col ciele è legato all’esposizione, FACCIAMO ATTENZIONE! il cielo tende a giocare brutti scherzi all’esposimetro della nostra macchina fotografica, suggerendo di sottoesporre – e spesso non di poco.
NON FACCIAMOCI INGANNARE e porviamo ad aprire un po’ – tenendo però in considerazione di non bruciare i dettagli.
Una volta deciso di dare al cielo il ruolo di protagonista, dobbiamo fare in modo che lo sia davvero. Non lasciamoci prendere dai dubbi, se il cielo è il nostro soggeto principale, che lo sia davvero!
Cerchiamo di scegliere cieli importanti: le nubi sono la nostra texture.
Scattiamo quando:
- le nubi sono imponenti
- le nubi anticipano temporali o tempesti
- le nubi sono trafitte dal sole
- sono colorate dal tramonto in maniera significativa
Sperimentiamo con la composizione!
Le migliori foto di cielo includono l’orizzonte. Teniamolo basso, molto basso e diamo al cielo il giusto spazio – esageriamo! diamogli anche l’80% dell’inquadratura (se se lo merita davvero). Manteniamo l’orizzonte molto basse e aggiungiamo elementi secondari, capaci di rendere le dimensioni della scena inquadrata a chi guarda – inseriamo alberi, edifici o porzioni di essi e altri dettagli simili.
Se ci fosse la possibilità inseriamo specchi d’acqua, come fiumi o laghi, in grado di fare da controcanto ai colori del cielo.
Potrebbe essere necessario usare un filtro digradante per abbassare la differenza di esposizione tra cielo e terra.
Dunque, occhi ben spalancati verso l’alto e pronti ad immortale i cieli tempestosi e gli accumuli di nubi.
I filtri in viaggio
L’avvento della fotografia digitale ha decretato un po’ la fine del mercato dei filtri, se facciamo eccezione per le versioni professionali dedicate ad un certo tipo di fotografia, come ad esempio quella di paesaggio.
Il computer e la post produzione si sono sostituiti quasi interamente dio questo strumento – e di questo un po’ mi rammarico…
Avendo bene in mente questa considerazione, ha ancora senso parlare di filtri nel 2014?
Credo di sì.
Quali sono i filtri che possono tornare utili in viaggio?
- UV e Skylight
- Polarizzatore
- Digradanti
- Neutral Density (ND)
Dimentichiamo tutti i cari vecchi filtri di correzione colore, per questo ormai si usa il bilanciamento del bianco, e dimentichiamo anche tutto il set di filtri per il bianco e nero, anche qui le correzioni le si ottengono in post produzione.
Vediamo nel dettaglio le tre categorie di filtri che ho indicato.
UV e Skylight.
Si tratta di due filtri diversi, ma che possiamo considerare simili e che assolvono la stessa funzione, o quasi.
Il primo, il filtro UV – ma faremmo meglio a chiamarlo anti-UV – serve ad assorbire le frequenze ultraviolette presenti nella luce e a pulire i nostri scatti di una fastidiosa dominante violacea che diventa molto percepibile soprattutto in montagna e al mare.
In montagna e al mare, la massiccia presenza di raggi ultravioletti, impercebili a occhio nudo, carica i nostri scatti con un velo di azzurro/viola.
Montando un filtro UV ovviamo a questo inconveniente. Il filtro UV lascia praticamente inalteratto tutto lo spettro visibile della luce, al di sotto dell’ultra violetto.
Analogo al filto UV è il filtro Skylight. Si tratta di un filtro leggermente colorato (rosa), che ha la funzione di filtrare le dominanti più fredde.
Oggi, considerato che molti modelli montano un filtro anti UV direttamente sulla macchina, i due filtri, UV e Skylight, servono soprattutto per proteggere le lenti dell’obiettivo, considerando che un filtro di diametro medio e di buona qualità ormai costa sui 20 euro.
Polarizzatore.
Il filtro polarizzatore è invece uno di quei filtri che la post produzione ancora fatica a sostituire in toto.
Il polarizzatore è costituito da due filtri lamellari sovrapposti che possiamo ruotare per mezzo di una ghiera, a seconda di come ruotiamo la ghiera, le lamelle delle due superfici interagiscono tra di loro e attenuano o esaltano i riflessi.
Il polarizzatore risulta particolarmente comodo per fotografia in prossimità di specchi d’acqua o per accentuare o azzerare i riflessi di vetrine e finestre.
Un altro effetto del polarizzatore è quello di rendere intensi gli azzurri del cielo e i bianchi delle nuvole.
Io lo consiglio, magari lo impiegheremo soltanto poche volte, ma di certo, in quelle poche volte, farà la differenza tra uno scatto banale ed uno scatto particolarmente vibrante.
Digradanti.
I filti digradanti sono solitamente dei filtri quadtrato o rettangolari che non vengono avvitati direttamente sulla ghiera dell’obiettivo, come UV, Skylight e polarizzatori, ma vengono montati per mezzo di un portafiltri dedicato.
Si tratta di filtri in resina con una porzione più scura dell’altra,di solito di colore neutro, che serve ad attenuare eventuali differenze di esposizione all’interno dell’inquadrdatura – ed esempio scurire il cielo in un panorama.
Esistono diverse varianti di gradiente: con sfumatura morbida, dura o colorata.
La marca di riferimento, per qualità ed offerta è di certo Lee Filters, che offre un kit completo di alcuni filtri (i più usati nella fotografia paesaggistica) e il portafiltri.
I filtri digradanti sono uno strumento indispensabile per chi vuole ottenere risultati di un certo livello nella paesaggistica.
Neutral Density (ND)
Sono filtri grigi con intensità diversa, servono ad abbassare la quantità di luce a disposizione.
Se di qualità, i filtri ND non influenzano in alcuna maniera la cromia della scena.
Utilizziamo questi filtri, che possono essere a ghiera o quadrati e montati su un portafiltri, per allungare i tempi di posa.
Ultimamente il mercato ha proposto filtri ND dall’intensità variabile (da 1/2 stop a -8 stop), impostabile attraverso la ghiera del filtro stesso.
Paesaggi in viaggio: alcuni consigli
Documentare un viaggio significa fotografare anche i paesaggi che ci circondano.
Ecco alcuni consigli che arrivano dall’esperienza e dal buon senso:
- Portiamoci SEMPRE un cavalletto. Direte, ma a cosa diavolo mi serve!? ci aiuta a comporre meglio e, nel caso, a fare più scatti della stessa inquadratura con diaframmi diversi da montare poi in post produzione ed ottenere una gamma tonale migliore, ad esempio
- Portiamoci uno scatto flessibile. Se non lo possediamo, nel caso di un tempo di posa lungo, impostiamo la macchina su autoscatto con ritardo-
- Facciamo attenzione alle nuvole – sono nostre amiche. Danno più profondità allo sfondo e contribuiscono a creare ombre.
- Se utilizziamo un filtro degradante neutro, posizioniamo con attenzione la sfumatura, facendola combaciare con la linea dell’orizzonte. Attenzione al diaframma: un diaframma chiuso rende la linea di passaggio del filtro più evidente.
- La luce del sole pieno è bella, ma la luce delle giornate di pioggia o di nebbia ha un fascino unico. Non lasciamoci demoralizzare se il meteo non è clemente, usciamo comunque. Il verde dei prati diventa magico quando piove.
- Indossate scarpe comode e vestiti adeguati. Scattare paesaggi può voler dire passare diverse mezz’ore all’aperto.
- In inverno la luce cambia con rapidità, impariamo a programmare.
- Sperimentiamo. Vi è mai capitato di scattare in una notte di luna piena, usando solo il chiarore della luna stessa?
Ecco un esempio della medesima inquadratura scattata con un’ora circa di differenza – la prima verso le 8 del mattino e la seconda poco prima delle 10, con il sole alto che aveva già sciolto la brina su campi. Il sapore delle due foto è completamente diverso
Un errore comune.
Ogni volta che chiudo un workshop mi domando “e io? io cosa ho imparato?”
Con il workshop di tecnica di base dello scorso fine settimana, ho capito qual è l’errore che commettono moltissimi quando scattano: NON GUARDARE BENE L’INQUADRATURA e includere elementi che vedranno soltanto una volta che la foto è stampata o sparata su un monitor da 42″.
Quello di non controllare l’inquadratura è forse uno degli errori più ricorrenti a tutti i livelli.
E poi scopriamo di aver dimenticato dentro la nostra scena oggetti inutili, persone, pezzi di architetture e altro, che, con quello che voleva essere il nostro scatto, non c’entrano nulla.
Perché questo accade?
Per motivi diversi.
- Perché siamo troppo concentrati sulla tecnica di base (forse perché non abbiamo abbastanza esperienza o pratica) e la nostra testa è troppo fissata con i parametri dello scatto – quale tempo uso? quale diaframma? gli ISO sono corretti? dove sto leggendo l’esposizine? – e mentre ci rispondiamo mentalmente, componiamo e scattiamo.
- Perché siamo distratti e scattiamo con troppa fretta. Fatta eccezione per la fotografia di sport, per il reportage e la street photography (ma non tutta la street photography), dobbiamo prenderci il tempo necessario per comporre la nostra inquadratura
Addirittura non solo dimentichiamo elementi non desiderati ai bordi dell’inquadratura, ma li lasciamo penzolare sulle teste dei nostri sogggetti principali – ho visto cose che voi umani…
CONSIGLIO: scattiamo con tranquillità, facciamo bene i compiti che ci richiede la tecnica e dedichiamo IL GIUSTO tempo alla composizione, controlliamo i bordi dell’inquadratura e diamo un paio di controllatine anche nei pressi degli elementi principali.
Amo aprire i miei workshop dicendo quello che lasciamo fuori dall’inquadratura NON esiste, ma anche ricordiamo che tutto quello che mettiamo dentro l’inquadratura è dentro per un motivo.
Nella foto di apertura – Tibet. Friendship Highway. 2006 – ho cercato di asciugare la mia inquadratura il più possibile. Nel 2006 la FH era poco più di una mulattiera polverosa, ma il traffico dei mezzi pesanti era comunque altissimo. Io nel mio scatto volevo trasmettere la sensazione di difficoltà che mi davano questi bestioni arrancando sulla strada sterrata e al tempo stesso l’incombenza della natura, che in Tibet, regime o no, resta dominante.
Ho aspettato per una buona mezz’ora, fino a quando un camion ha approcciato la curva. La matematica l’avevo già sbrigata e ho avuto tutto il tempo per comporre con calma e per controllare cosa includevo e cosa escludevo. Ho scattato con calma, regalandomi pure il lusso di scattar e qualcuna più chiusa e qualcuna più aperta. Ok, forse ho perso un po’ di tempo, ma, almeno per me, ne è valsa la pena.