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Ritratti: l’importanza del gesto
Molti fotografi concordano che gli occhi siano l’elemento chiave in un ritratto, alcuni, addirittura, non concepiscono un ritratto senza che il soggetto non guardi dritto in macchina.
Personalmente non sono così rigido, amo i ritratti dove il soggetto è di profilo, tanto quanto quelli dove lo sguardo è dritto e diretto all’obiettivo.
Chiaramente quando il soggetto guarda in macchina ingaggia una relazione con chi guarda decisamente più potente e solida, ma non per questo dobbiamo privarci della possibilità di variare la posa.
Un dettaglio del quale invece pochi parlano è il gesto.
Anche se stiamo scattando un ritratto, e quindi siamo concentrati sul volto e sull’espressione del nostro soggetto, non sottovalutiamo l’importanza dei gesti, i gesti hanno la forza di caratterizzare meglio il nostro soggetto, oltre che di rendere un ritratto più interessante e meno scontato.
Vi mostro un esempio pratico, e giudicate voi stessi.
Ecco due scatti dello stesso soggetto, si tratta di due ritratti scattati a distanza di pochi secondi l’uno dall’altro, nelle stesse condizioni di luce e mantenendo inquadratura e focale più o meno simili.
In entrambi i casi il soggetto guarda in macchina – per buona pace dei puristi del ritratto – nel secondo il gesto di appuntirsi il baffo, sono riuscito a cogliere un gesto che rende il ritratto più interessante, più singolare.
Questo riusciamo a farlo quando la fretta non ci assilla e quando riusciamo, anche al di là della barriera che impone una lingua diversa, instaurare un rapporto con chi stiamo fotografando.
In questo caso, risolti i conticini di base relativi all’esposizione e scelta l’inquadratura, mi sono concesso un po’ di tempo e ho provato a conversare con il mio soggetto – la maggior parte dello scambio verbale era improntato sul “yes, thank you”, “ok, one more, if you please” e tanti, tanti, tanti sorrisi.
Degli scatti effettuati, quello dove si liscia il baffo è senza dubbio quello che mi soddisfa maggiormente.
5 trucchi pratici per ritratti migliori
Non è un segreto, amo la fotografia di ritratto e appena posso viaggio. Le due cose, quando si combinano, danno vita al mio nirvana fotografico. Forse qualcuno di voi nutre i miei stessi gusti, se sì, spero che questo post possa aiutarvi a migliorare.
Ecco 5 trucchi pratici che possono tornare utili quando siete in viaggio e volete dedicarvi al ritratto.
- Portate sempre un flash con voi
Con il rischio di risultare pedante – e pesante – lo ripeto all’infinito, come un mantra.
Fate sempre un po’ di spazio nella vostra borsa per un piccolo flash. Farà la differenza in molte occasioni, soprattutto nel caso decidiate di darvi alla fotografia di ritratto.
Non usatelo mai direttamente – a meno che non si tratti di un puro lampo di schiarita.
Miscelatelo sempre con la luce ambiente a disposizione, per questo fate attenzione alla coppia tempo/diaframma che scegliete. Il tempo regola la quantità di luce ambiente che entrerà nello scatto e il diaframma la luce flash, evitate che la luce flash faccia sembrare i vostri soggetti dei plasticoni.
La presenza del flash NON si deve praticamente cogliere, deve aiutare la luce ambiente, ma non soverchiarla, a meno che non siate alle prese con scatti particolarmente creativi.
Il colpo di flash deve aiutare a staccare il soggetto dallo sfondo, non deve essere protagonista.
Fate in modo di conoscere le funzioni principali – almeno – del vostro flash e studiate diligentemente la teoria della fotografia flash. Non lasciatevi intimorire, quel poco coraggio che serve per affrontarla vi garantirà risultati superiori alla media… dei vostri amici più pigri. - Abbinate il soggetto alla location
Scegliete con cura dove scattare. Giocate d’anticipo, pensate prima di mettere in posa il soggetto.
Se non si tratta di un assignment, ma di un ritratto al volo, fate mente locale subito e fatelo in fretta.
Dove scattate il vostro soggetto vale quasi quanto la posa che gli chiederete di assumere.
Il luogo, l’ambiente, racconta molto e aiuta ad inquadrare meglio il vostro soggetto e lo fotografia che andrete a realizzare.
Abbinate con cura soggetto e location. Se la location rischia di essere un luogo comune, cercate di sfruttarla in modo creativo o, se il soggetto si presta, puntate su una posa particolare.
È scontato aspettarsi Emanuele Canaparo, produttore di nocciole delle Langhe, ritratto tra le nocciole, ma lo è meno vederlo letteralmente galleggiare su un mare di nocciole. - Cogliete l’attimo
Scattare una foto significa congelare un attimo. Un ritratto risulterà ancora più eloquente se riuscirete a cogliere un gesto particolare, spontaneo. Per questo, fateli muovere. Non è necessario che si mettano a ballare il tip-tap, ma anche semplicemente muovendo le mani o le braccia, riuscirete a soffiar via quella patina di imbarazzo che molto spesso si coglie in modo fin troppo evidente nei ritratti posati. Ma non insistete. Se muoversi non è nelle corde dei vostri soggetti, non insistete, o creerete maggior danno, facendo salire l’imbarazzo alle stelle.
Spesso anche soltanto i piccoli movimenti delle mani o quell’espressione particolare possono fare la differenza. Siate pronti a coglierla, non è replicabile il più delle volte e quasi sempre dura il tempo di un click.
Nella foto, che amo particolarmente, Anna Vizziello, concertista classica, ha rotto la posa per colpa – o merito – di una zanzara. Se non fossi stato pronto, lo scatto non esisterebbe e credo che la zanzare abbia saputo regalare all’amica Anna una spontaneità incredibile.
- Vicino e lontano. Dentro e fuori.
Dentro e fuori. È un modo di dire che credo spieghi bene la questione.
Dentro, nel senso di ravvicinato, nel senso di primo piano, di dettaglio.
Fuori, nel senso di più lontano, con più aria attorno, con più ambiente.
È un’ottima regola, anche per chi scatta ritratti – soprattutto per chi scatta ritratti: gli regala varietà e possibilità di sottolineare aspetti del soggetto che un taglio accademico non sempre è in grado di garantire.
Scattate primi piani. Scattate primissimi piani. Andate oltre, scattate dettagli. Dentro.
Perché anche il dettaglio parla, soprattutto le mani.
Ma poi allontanatevi e dedicatevi alla figura intera e poi allargate ancora e includete un po’ di ambiente. Fuori.
Siate vari, i ritratti non sono soltanto scatti testa/spalle. - La luce migliore è fatta di ombre
Amo questo controsenso e ne sono assolutamente convinto.
La luce migliore – quanto meno per come la vedo io – è quella che porta ombre, anche importanti, anche nette, perché no.
Sperimentatela nei vostri ritratti.
Cercate le ombre, sottolineatele, usatele per definire ed esaltare la tridimensionalità
È chiaramente una questione di gusto. Io personalmente preferisco i ritratti contrastati ai ritratti morbidi, molti non la penseranno come me, ma alla fine questo blog lo tengo io – ah ah ah!
Fate un esercizio mentale, prima di scattare, provate a pensare a come Caravaggio avrebbe illuminato il vostro soggetto, provate ad immaginare a come lo avrebbe illuminato Rembrandt – sì, avete letto bene, ho scritto Caravaggio e Rembrandt, non Steve McCurry, Caravaggio e Rembrandt, due maestri nell’uso della luce. Sono più che convinto che se proverete ad usare la luce come Caravaggio o Rembrandt, alla fine vi verranno scatti molto vicini al linguaggio fotografico di McCurry (!) e di altri mostri sacri della fotografia moderna.
Se la luce che state utilizzando non è troppo diffusa ha una sua direzione precisa. Individuatela! Cercate da dove arriva la luce e studiate come cadono le ombre, sul volto del vostro soggetto, sull’ambiente. Sfruttatela.
La luce è magia: sfruttatela, ed è gratis, tra l’altro.
Forse a qualcuno di voi potrà sembrare un elenco ovvio, anche un filo banale – spero non a molti, altrimenti devo prendere seriamente in considerazione l’idea di chiudere il blog. Per coloro che invece non pensano si tratti di banalità, oltre alla mia gratitudine, va un ultimo consiglio: cercate il vostro stile personale.
Phototour possibili: Siena e dintorni
Come non pensare alla zona circostante Siena?
Non si può.
Ed ecco un phototour possibile.
Basta un weekend lungo, ad esempio da giovedì a domenica, per immortalare una delle zone più belle d’Italia.
Sto parlando di quell’area di Toscana a sud di Firenze, tra Siena – appunto – e il mar Tirreno.
Gli amanti della fotografia di paesaggio non possono non pagar pegno a questa zona incantevole d’Italia. Colline dal profilo dolce si alternano a piane, borghi medievali fanno a gara ad attirare l’attenzione di chi attraversa la zona.
A Siena.
Siena, di per sé, vale la pena della trasferta.
Preparatevi a condividerla con un esercito di turisti più o meno tutto l’anno – in particolar modo attorno a ferragosto quando si tiene il famoso palio omonimo. Questo non deve però farvi gettare la spugna, ma deve invece spronarvi a cercare nuove inquadature e scatti più nostri.
Siena è conosciuta in tutto il mondo per il patrimonio storico, artistico e paesaggistico. Il centro è un’opera d’arte a cielo aperto e la maggior parte degli scorci fotografici li troveremo circoscritti al suo interno.
Prepariamoci a camminare, perché gran parte delle cose da vedere si trovano all’interno del centro storico in aree a traffico limitato o isole pedonali.
Piazza del Campo non può mancare. Centralissima sede del palio, simbolo della città con la Torre del Mangia e il Palazzo Pubblico. Neppure il Duomo, a pochi passi dalla piazza, può mancare, con il suo stile romanico gotico, così comune nella Toscana medievale.
GIrovagando senza meta per i vicoli del centro storico, non mancheranno gli spunti fotografici interessanti.
Fuori Siena.
Monteriggioni non può mancare dalla nostra lista.
Monteriggioni è una cittadina minuscola ad una ventina di chilometri da Siena, famossa per le mura che la cingono e per il profilo che queste mura conferiscono al paese.
La campagna attorno a Monteriggioni pare un dipinto, tanto è bella e suggestiva. Calda e bruciata in estate, rigogliosa in primavera, di un fascino particolare anche in inverno, sembra invitare il fotografo a fermarsi e a puntare il suo grandangolo sulla piana che si stende ai suoi piedi.
A nord di Monteriggioni, uno degli ultimi paese della valle del Chianti, Castellina in Chianti, e se ci arrivate da Monteriggioni, vi consiglio di farlo prendendo la SP 51 da Castellina Scalo, vi troverete nel cuore tipico della Toscana, con a disposizione un panorama mozzafiato.
Volterra è un’altra meta interessante. Più piccola di Siena, più raccolta, ma altrettanto bella da visitare e, naturalmente, fotografare. Interessante anche tutta l’industria che ruota attorno alla lavorazione dell’alabastro – per un fotografo volenteroso, si apre una bellissima storia, che va dalla produzione, alla vendita di manufatti in alabastro, passando per la lavorazione.
Scendendo poi verso il mare, verso ovest, si può fare una capatina ad una delle spiagge più singolari del litorale toscano, le Spiagge Bianche di Rosignano Solvay, dove gli scarichi – innocui – della vicina Solvay, colorano le acqe di un turchese intenso e di un azzurro, sbiancando la spiaggia a livelli di Maldive.
Tra Collesalvetti e Lorenzana, a nord di Rosignano, potrete invece ritrovare le colline del Mulino Bianco, e cimentarvi con i panorami tipicamente toscani – collina, cipresso e casale, tanto per intenderci. Il muliino della famosa marca di merendine e biscotti si trova a Chiusdino ed l’agriturismo Mulino delle Pile.
Quando andare e dove stare
La primavera inoltrata è sicuramente la stagione migliore. Troverete il verde dei campi al massimo del suo splendore e il caldo non sarà opprimente.
Le sistemazioni sono davvero innumerevoli. Si può andare dal casale ricondizionato a relais di lusso, al bed and breakfast con vista sulla Torre del Mangia, all’agriturismo spartano, dove il proprietario vi servirà latte appena munto per colazione e vi inviterà a raccogliere le uova delle sue galline. Tutto dipende dal vostro budget.
Come arrivarci
In auto, da nord, si può lascare l’A1 a Firenze e prendere il raccordo autostradale Firenze-Siena. Da sud, invece, sempre dall’A1, uscendo Valdichiana, si può predere il raccordo Siena-Bettole.
Per chi arriva dal litorale tirrenico, l’uscita è Rosignano.
Come valutare i concorsi fotografici prima di iscriversi

Con questo scatto ho partecipato al concorso dell National Portrait Gallery di Londra. Ho passato la prima selezione (immensa soddisfazione), ma non sono entrato nei finalisti che sarebbero stati inclusi nella pubblicazione annua ed esposti a St. Martin in the Fields
In quanti concorsi fotogrtafici, più o meno seri, più o meno articolati, ci imbattiamo ogni settimana?
“Soldi!”… “La tua foto in copertina!”…. “Super Premio in salami e formaggi!”… “Esposizione mediatica garantita!”…. “I tuoi scatti esposit alla NPG di Londra!”… e chi più ne ha più ne metta.
A prima vista i concorsi possono sembrare tutti una buona occasiona da non lasciarsi sfuggire, ma se così facessimo, ci ritroveremmo presto spennati – a colpi di 20/50 euro a iscrizione – e con la stessa fama o copertura mediatica dell’altroieri.
ALT! Poniamoci alcune domande prima di iscriverci al prossimo concorso fotografico.
Che cosa mi potrebbe portare?
Se ci iscriviamo ad un concorso è perchè vogliamo cavarci qualcosa. Cerchiamo di capire di cosa di tratta prima di iscriverci, qualunque cosa essa sia, soldi, fama, esposizione, la possibilità di accedere a workshop con fotografi di fama mondiale, la possibilità di pubblicare lo scatto vincente o di fare una mostra.
Quello che possiamo aspettarci si suddivide facilmente in
- FAMA – Qualsiasi tipo di esposizione successiva legata alla vittoria o ad un buon piazzamento
- PREMIO IN SOLDI – va da sé
- FEEDBACK – alcuni concorsi permettono di avvicinare fortografi di fama mondiale e scattare con loro o partecipare gratuitamente ad attività da loro svolte (corsi, workshop, sessioni di lavoro, ecc,-)
Chi siede nella giuria?
Questa seconda domanda è significativa quanto la prima. La giuria è composta da esperti o si tratta di un concorso basato sulla popolarità – tipico di Facebook, dove si vince a colpi di “mi piace” e di “condividi”.
I concorsi della seconda tipologia li lascio a chi lo fa tanto per divertiris a vedere quanti “amici” lo sostengono, personalmente preferisco concorsi dove la giuria è composta da esperti – questo non significa che i concorsi su Facebook non valga la pena farli, dipende se però a decretare il vincitore è l’esercito dei navigatori o un fotografo amministratore di un gruppo o di una pagina.
Chi ha diritto ai miei diritti?
Cerco sempre di leggere bene la parte relativa alla cessione dei diritti e vi consiglio di farlo ache voi.
Cercate la sezione dedicata a “come verranno utilizzate le immagini da voi sottoposte”. Un concorso serio si limiterà ad utilizzare le vostre immagini per promuovere il concorso stesso – potrebbe darsi che a questo segua una mostra e un catalogo.
Attenzione alle esche!
Molti concorsi sono semplicemente acchiappascatti: voi caricate le vostre immagini, pagate e loro acquisiscono i diritti in maniera totale, disponendone per qualsiasi utilizzo, anche a scopo di lucro. Evitate di iscrivervi!
Quanto costa?
La questione economica è sempre da valutare.
I concorsi seri prevedono diverse categorie di iscrizione, di solito a foto singola o ad essay (piccolo gruppo che risponde ad tema).
Tenete inoltre presente che se vi viene richiesto di partecipare inviando una stampa, la stampa non vi verrà restituita, a meno che non venga espressamente indicato nelle regole di partecipazione e di solito la cosa avviene a vostre spese, con il versamente di un contribuito per la postalizzazione.
Avete letto tutto e bene?
Leggete con estrema attenzione le regole di partecipazione e di ammissione per gli scatti (formati accettati, risoluzioni minime, risoluzioni massime, azioni di post-produzione ammesse, ecc.). Non c’è peggior beffa di iscriversi, pagare e vedere i propri scatti squalificati perche ritenuti non idonei o non conformi alle regole di ammissione.
Alcuni concorsi ammettono tutto – e non pensiate che si tratti di concorsi da quattro soldi, Nikon, ad esempio, ne organizza uno a livello mondiale dove qualsiasi intervento in post-produzione è ammesso.
La maggior parte dei concorsi è rigida su quanto potete photoshoppare uno scatto, di solito potete intervenire sull’esposizione, sul contrasto, sulla gamma tonale, qualche sharpening e stop.
Storytelling: come scegliere le storie da raccontare
Spesso me lo chiedo io stesso: “cosa racconto?”
Non c’è una risposta precisa a questa domanda così personale. Esistono categorie narrative dentro le quali cercare o, attraverso le quali, mettere a fuoco il soggetto della nostra narrazione.
Il livello di interesse che la nostra storia può suscitare è chiaramente legato alla nostra capacità di narrare fotograficamente, ma anche al soggetto scelto, soprattutto in rapporto con il potenziale pubblico a cui ci riferiamo, e naturalmente all’approccio e al tono di voce scelto per raccontare.
Ad esempio, se scegliamo di raccontare i negozi di un particolare quartiere, al di là della nostra obiettiva capacità di rendere i soggetti interessanti dal punto di vista fotografico, il soggetto risulterà molto più interessante e gradito alla comunità che ruota attorno al quartiere e se vogliamo invece allargare il nostro pubblico, dobbiamo fare in modo che o l’approccio o il linguaggio utilizzato sappiano interessare anche altri soggetti, che magari non vivono la quotidianità del quartiere – ad esempio, provare a centrare il racconto sul contrasto moderno vs. tradizionale o esaltare la caratteristica di mestieri in estinzione.
Esistono però caratteristiche generali che determinano l’interesse per il nostro soggetto:
Cominciamo ad elencare alcuni soggetti o macro-categorie che ci possono aiutare, per lo meno a partire per focalizzare meglio il soggetto della nostra storia.
Pensiamo a storie di:
- Persone
- Luoghi
- Oggetti
- Attività
- Collezioni (o oggetti simili tra loro)
- Istituzioni
Queste possono essere le aree dalle quali partire, che possiamo/dobbiamo incrociare con almeno una delle prossime caratteristiche narrative per approdare ad una storia interessante – o per lo meno potenzialmente interessante
- Universalità
Esistono temi universali – ad es. pace, amicizia, amore, le stagioni, il tempo, vecchiaia, giovinezza, ecc. – questi temi riscuotono spesso interesse, ma rischiano di portare la narrazione verso il cliché. Attenzione! - Prossimità geografica
Vicinanza con la comunità, ad esempio storie locali - Prossimità temporale
Il soggetto è molto attuale
- Unicità
Il soggetto è unico, singolare, non è mai stato trattato, è stato poco trattato, è stato trattato in modo diverso, ecc. - Estraneità geografica
Il soggetto è (molto) distante dalla comunità di riferimento (ad es. un documentario sulla vita in una dispersa valle del Dolpo, nel Nepal del nord) - Estraneità temporale
Il soggetto vive in un tempo lontano, ci sono soggetti, poi, che non hanno tempo. - Conflitto
Qualsiasi conflitto attira, il conflitto non deve per forza essere fisico. Minacce, disagi, denuncia, ecc. - Celebrità
Le celebrità – concetto del tutto relativo – hanno sempre un certo appeal, attenzione a trovare chiavi di narrazione singolari - Riscoperta
Riscoprire luoghi, proporre luoghi (comuni) con un tono di voce diverso è di per sé un progetto interessante.
Proviamo ora a fare un esercizio, proviamo a scegliere una delle categorie del primo elenco, ad esempio “attività” e una delle caratteristiche narrative del secondo elenco, ad esempio “celebrità”. La nostra storia potrebbe essere un progetto fotografico dedicato agli hobby dei politici, e se volessimo aggiungere un’ulteriore caratteristica narrativa potremmo usare “prossimità geografica” e circoscrivere i nostri soggetti alla giunta comunale cittadina, ad esempio.
Provate ora a creare possibili progetti – non importa quanto realizzabili – semplicemente incrociando categorie e caratteristiche.
Provate ora a distinguere a quale tipologie di storie appartengo e quali caratteristiche hanno (fingendo di pensare ad un pubblico potenziale di Milano) i seguenti progetti:
- “porte di Kathmandu”
- “i mestieri del passato che sopravvivono alla città (Milano)”
- “le stagioni nella Tuscia viterbese”
- “la scuola vista dalla prospettiva di uno scolaro di sei anni”
Scegliere un buon soggetto da raccontare è metà del successo di un progetto di story telling, non dimentichiamolo.
Raccontarlo in modo personale vale quasi la restante metà, in mezzo c’è la tecnica.
N.d.A.
Tra gennaio e febbraio, se siete interessati, organizzerò un workshop dedicato allo story telling fotografico, che si svilupperà su due weekend – nel primo cercheremo di fissare le basi teoriche della narrazione per immagini, sceglieremo un progetto da sviluppare e nel secondo weekend (ad un mese di distanza) condivideremo ed analizzeremo i vari progetti.
Se siete interessati tenete d’occhio questo blog o scrivetemi a info@waltermeregalli.it
W.M.
Tra street photography e story telling. Workshop 8/9 novembre
Finalmente torno a postare dopo un mese immerso in un progetto fotografico bellissimo – ma faticoso – che ormai è quasi chiuso e che sfocierà in un libro (del quale non posso parlare ancora).
Il weekend dell’8 e 9 novembre terrò a Milano il secondo workshop dedicato alla street photography. Rispetto al primo, in questo secondo incontro cercherò di spostare l’accento dalla tecnica alla capacità di raccontare – lo story telling.
Il workshop si rivolge a qualsiasi tipologia di fotografa, dal principiante all’amatore, per partecipare basta possedere una reflex, un obiettivo e tanta voglia di fotografare e di condividere.
Come sempre, dò molto spazio alla pratica, con numerosi esercizi svolti sul campo e soltanto due parentesi teoriche in apertura di entrambe le giornate.
Il gruppo, per scelta, non supererà le dieci persone. Soltanto con un gruppo contenuto è possibile condividere le esperienze in modo efficace le esperienze e per me seguire i partecipanti, aiutarli e discutere gli aspetti più tecnici.
Tutti i dettagli – programma di massima e iscrizioni li trovate cliccando qui: WORKSHOP STREET PHOTOGRAPHY.
10 consigli per la fotografia di viaggio
Non si smette mai di imparare, anche se spesso proviamo a convincerci del contrario.
Ognuno di noi ha margini di miglioramento più o meno ampi, non dobbiamo smettere di sperimentare, non dobbiamo MAI pensare ‘non ho più niente da imparare’. NON È COSÌ!
Pensiamoci, possiamo migliorare la nostra tecnica o la composizione, possiamo approfondire la nostra capacità di raccontare storie attraverso le immagini, possiamo migliorare nell’impiego di un certo linguaggio. Ognuno di noi ha margini di miglioramento, basta volerlo.
Un caro amico, grande fotografo, parecchie decine di anni fa mi disse “non importa se non lo capisci adesso, c’è tempo” , certo, lui era un maestro di sessanta e passa anni e parlava ad un ragazzino appassionato di fotografia che aveva davanti tutta una vita per capire, ma il senso non cambia, c’è sempre tempo per capire, imparare e migliorarsi.
E nell’abbrivio di questa apertura, ecco alcuni consigli pratici – pratici, perché mi vengono dalla pratica quotidiana – per provare a migliorare la nostra fotografia e in particolare la fotografia di viaggio.
Li ho divisi in prima e durante… in questo primo post, I CONSIGLI PRIMA DI PARTIRE. Nel prossimo post, I CONSIGLI SUL POSTO.
PRIMA DI PARTIRE
1. Documentiamoci.
Documentarsi sul luogo che andremo a visitare e a fotografare è il primo passo. Un passo fondamentale, oltre che divertente.
Guide, libri, web, le informazioni sono ovunque e di solito abbondanti.
Informiamoci su monumenti, luoghi d’interesse, attrazioni, ma anche manifestazioni sportive, musicali, religiose.
Ci aiuterà a non perdere tempo e ci darà un’idea chiara di quello che ci aspetta.
2. Buttiamo giù una lista.
Quella che i professasti chiamano shot list. Proviamoci anche noi, se funziona per loro, chissà mai che funzionasse anche per noi…
Personalmente credo molto nel potere della lista. La lista è uno strumento che uso ogni volta che affronto un progetto fotografico, mi fa sentire sul pezzo e pronto a portare a casa il risultato.
Da dove si comincia?
Buttiamo giù un elenco degli scatti senza i quali non vogliamo tornare a casa. Ci accorgeremo presto che molto probabilmente si tratterà di un elenco di scatti, per così dire iconici e alcuni di loro risulteranno piuttosto ovvi, NON IMPORTA. Annotiamoli ugualmente e poi proviamo, per ognuno di essi, ad elencare alcune opzioni o alternative che possa renderlo meno scontato, più interessante. Ad esempio, se andiamo in India e andiamo ad Agra, non possiamo tornare a casa senza uno scatto del Taj Mahal, bene, annotiamolo in cima alla lista, tra l’elenco degli scatti obbligatori, poi pensiamo a come renderlo più nostro e scriviamolo a fianco.
La lista DEVE essere uno strumento per generare idee e non per costringerci. Ogni voce della lista DEVE spingerci ad esplorare altre possibilità.
La lista DEVE essere la partenza, non l’arrivo.
3. Scegliamo l’attrezzatura giusta
Gli inglesi hanno un modo di dire piuttosto colorito per indicare l’esagerazione, dicono ‘everything and the kitchen sink”, letteralmente ‘tutto, compreso il lavandino della cucina’. Ecco, evitiamo di portarci anche lavandino quando viaggiamo.
Facciamo mente locale e portiamoci tutta l’attrezzatura che pensiamo possa tornarci utile, pensando soprattutto che poi quell’attrezzar sarà il nostro fardello quotidiano. Personalmente non mi spaventa girare tutto il giorno con uno zaino di dieci chili in spalla, preferisco avere una lente in più che un’inquadratura in meno – molti invece sposano la filosofia contraria.
Viaggiare leggeri è un imperativo, la soglia della leggerezza però è un dettaglio che dobbiamo essere in grado di definire noi, in relazione al tipo di fotografia che prediligiamo, alle aspettative che nutriamo e, ovviamente, alla nostra capacità di caricarci come piccoli muli da soma.
Portiamoci quello che consideriamo indispensabile, ma, ancora più importante, QUELLO CHE CI PORTIAMO NON DEVE AVERE SEGRETI PER NOI!
Dobbiamo conoscere ogni funzione e ogni possibilità dell’attrezzatura che ci portiamo, è imperativo perché poi sul campo ci si possa dedicare semplicemente a fotografare.
4. Un po’ di riscaldamento serve
Anche i migliori atleti devono riscaldarsi. La regola può essere trasportata in fotografia.
Chi di noi scatta tutti i giorni, probabilmente, è sempre caldo e pronto. Chi invece fotografa meno frequentemente ha bisogno ogni volta di un certo periodo per familiarizzare con la macchina, con le inquadrature, con la composizione. Ecco perché ai secondi consiglio un po’ di riscaldamento in vista del viaggio, che so, magari un fine settimana o una giornata durante la quale portarsi dietro la macchina fotografica e scattare, senza troppe aspettative e senza troppe pressioni.
È umano avvertire la pressione se una vocina dentro di noi ci ricorda che con buona probabilità non torneremo più ad Angkor Wat, è umano. Ecco perché è bene arrivare caldi.
5. Coordiniamoci con gli altri
Personalmente, quando fotografo, viaggio da solo, ma non per tutti è così. Considero la fotografia una pratica molto intima. Fatico moltissimo a mostrare una qualsivoglia capacità relazionale mentre fotografo, motivo per il quale se fotografo viaggio da solo. Se invece siete in vacanza o in viaggio con altre persone, le quali magari non condividono la nostra passione per la fotografia, è fondamentale che vi coordiniate con chi vi è attorno. Organizzatevi, non imponete alzatacce all’alba a chi di cogliere quella luce magica non frega nulla. Ritagliatevi momenti vostri, dedicati a scattare, e integrateli con il resto delle attività che prescindono dalla macchina fotografica. Ahimè, quante vacanze e viaggi ha rovinato la passione smodata per la fotografia, pensateci per tempo, evitate di organizzare una gita alle scogliere perché sono un luogo incantevole per poi infliggere ai vostri compagni di viaggio interminabili attese, aspettando la luce. Otterreste un solo risultato certo: rovinarvi i viaggio – se non peggio.
Storytelling: l’essay fotografico
Fino ad ora ho affrontato il tema dello storytelling attraverso alcuni consigli che avevano più a che fare con la sensibilità del fotografo e con la tecnica fotografica, ora vorrei spostare l’attenzione su come costruire una storia attraverso una serie di immagini, un essay.
In questo caso, nel caso dell’essay, l’analogia tra il fotografo e lo scrittore si fa ancora più forte.
Un essay fotografico è una storia raccontata attraverso una serie di immagini, e, credetemi, assomiglia davvero molto alla costruzione di un racconto o di un romanzo.
Un essay fotografico si sviluppa attraverso più immagini – il numero non è fondamentale.
Fondamentale invece è la consapevolezza che tutte le immagini debbano concorrere a raccontare la storia, anche se in con ruoli e pesi diversi.
Come lo scrittore, anche il fotografo, che intende raccontare una storia un essay, deve saper costruire un ritmo, capace di catturare chi guarda, incuriosirlo e guidarlo attraverso la storia.
Mantenendo l’analogia con lo scrittore, le foto sono per il fotografo quello che per lo scrittore sono le scene, foto e scene costruiscono il plot, la trama del racconto.
CONOSCERE IL CONTESTO.
Conoscere il contesto che vogliamo raccontare è fondamentale. Conoscere il contesto ci aiuta ad individuare i possibili temi attraverso i quali possiamo raccontare la nostra storia.
Non dobbiamo però confondere tema e storia. Ogni storia può essere sviluppata attraverso temi diversi. I temi – di solito più simili ad archetipi narrativi – sono gli architravi sui quali poggiare la nostra storia, pensiamo ai temi come a dei binari sui quali poggiare e far viaggiare la storia.
Se siamo padroni del contesto, se sappiamo cosa stiamo raccontando, saremo in grado di sviluppare in modo interessante i temi, attraverso i quali abbiamo deciso di raccontare.
Più ci appoggiamo a temi universali e trasversali, più la nostra storia avrà la possibilità di essere capita ed accolta con favore.
Ma c’è un rischio piuttosto rilevante legato ai temi universali: più ci appoggiamo a temi universali e più rischiamo di essere banali.
Questo non significa che un tema universale non possa essere trattato con un piglio singolare.
Il medesimo problema si presenta allo scrittore. supponiamo che decida di raccontare la storia legata alla fine di un amore, di sicuro non si tratta di una storia nuova e supponiamo che intenda farlo sviluppando temi quali la gelosia, la noia, la rabbia, anche questi non sono temi inesplorati, tutto però dipende dal suo approccio. Se ad esempio esplorasse il tema della positività della gelosia, la sua storia di sicuro potrebbe suscitare un certo interesse.
E anche al fotografo alle prese con un essay si pone il medesimo problema: provare a trattare temi universali attraverso una visione personale, possibilmente nuova – ma quanto meno personale.
Di sicuro pero, dobbiamo essere padroni dei temi che sorreggono a nostra storia. Dobbiamo conoscerli per poterli ritrarre e dobbiamo saperli manipolare se vogliamo che si pieghino e sorreggano al meglio la nostra storia.
Ogni volta che inquadriamo, chiediamoci se quello che vediamo dentro il nostro mirino può contribuire alla storia che stiamo cercando di raccontare , in che modo e quanto. Prima di scattare, chiediamoci se quella scena aderisce ad uno temi della storia.
Supponiamo che il nostro essay sia dedicato ad una comunità che vive sotto un ponte sulle rive dello Yamuna River a Delhi.
Quali sono i temi che possiamo sviluppare per raccontare la nostra storia? Il fiume, di sicuro. Il ponte. La povertà, di sicuro, le condizioni di vita disagiate. Riusciamo a mostrarle in contrasto con l’evidente felicità dei bambini che giocano sotto il ponte? Sarebbe un modo singolare per ritrarre l’indigenza, spogliandola della retorica sofferenza e mostrandola quasi come condizione accettabile.
Potremmo mostrare gli oggetti quotidiani, mostrare le capanne e la loro fragile condizione e mostrare l’assoluta fierezza di chi le abita, la fierezza di chi dice non importa ciò che è, ma questa è casa mia. Questo è un modo di trattare un tema universale come la povertà in un modo personale – non dico nuovo, ma personale.
Ognuno di questi temi, ed altri ancora naturalmente, ci aiuterà a costruire l’intelaiatura visiva sulla quale costruire la nostra storia e se i temi risulteranno sviluppati con cura, singolarità e sensibilità, la nostra storia non potrà non suscitare interesse.
RITMO UGUALE ATTENZIONE
Per fare quello che vi ho appena descritto non abbiamo bisogno soltanto di grandi scatti, abbiamo piuttosto bisogno di creare un flusso, un ritmo visivo, un’alternanza di immagini forti e di immagini di supporto che sappia condurre per mano chi guarda e portarlo dentro il mondo che abbiamo deciso di raccontare.
Pensiamo alla storia di un meccanico.
Sicuramente il suo ritratto, magari ambientato nella sua officina, potrebbe essere lo scatto principale, quello nel quale pensiamo di condensare i tratti narrativi.
Ma il meccanico lavora con le mani. Un primo piano delle sue mani sporche di grasso e segnate sarebbe uno scatto molto significativo e utile per fare entrare chi guarda nel suo mondo, forse anche più del suo ritratto. E così il banco con gli attrezzi, sarebbe uno scatto accessorio molto rappresentativo, che aiuterebbe a capire meglio chi guarda e che farebbe apprezzare ancora di più il ritratto del volto.
Se il ritratto funziona come scatto chiave, gli scatti delle mani e degli attrezzi aiutano ad apprezzarlo e meglio comprendere il mondo che stiamo ritraendo, anche se tecnicamente il banco con gli attrezzi e le mani sporchi sono scatti più semplici da fare e forse meno evocativi di un ritratto.
Questo però per dirvi che in un essay fotografico ci servono immagini che introducano lo scatto principale ed immagini che ne completino la descrizione.
STRUTTURA DEL RACCONTO
Sono certo che non amereste particolarmente un romanzo che mantienga lo stesso ritmo dalla prima pagina all’ultima, così come non riuscireste ad apprezzare un essay fotografico dove tutte le immagini proposte sono key shot – immagini principali.
È necessario imparare a creare un ritmo, alternando scatti minori a key shot, dove gli scatti minori hanno il difficile compito di sottolineare, introdurre, , amplificare, dettagliare e approfondire il contesto della nostra storia per immagini
SCATTI INTRODUTTIVI.
Gli scatti introduttivi servono a portare chi guarda all’interno del contesto. Non è necessario svelare tutte le nostre intenzioni dal primo scatto, ma dobbiamo fornire tutti gli elementi necessari perché chi guarda capisca il contesto della nostra storia.
Naturalcmente molto dipende dal tipo di storia che stiamo raccontando, non sempre un panorama è la scelta corretta per uno scatto introduttivo – anche se spesso lo è.
Se il racconto si snoda in un ospizio per anziani senza famiglia alle porte di Kathmandu, uno scatto che mostri l’ingresso dell’ospizio o una targa che riassuma lo scopo ed elenchi i donatori possono funzionare molto bene.
Se la nostra storia vuole raccontare un parco naturale o una città, forse una panoramica funzionerebbe meglio.
SCATTI ACCESSORI o MEDI.
Aiutano a definire meglio la storia. Costituiscono il corpo. Possiamo paragonarli ai gregari in una squadra di ciclismo, aiutano il campione ad emergere e molto spesso fanno il lavoro sporco, consapevoli che le attenzioni alla fine saranno tutte per il campione – lo scatto/gli scatti principali.
Quanti scatti accessori fare? Dipende dalla lunghezza del nostro essay. Più è alto il numero totale di scatti che compongono l’essay e più possiamo irrobustire il corpo della nostra storia con scatti accessori.
Attenzione! Troppi scatti accessori o intermedi rischiano di annoiare chi guarda, che vuole essere emozionato – qualità che gli scatti medi o accessori non hanno.
Le tecniche che possiamo utilizzare per gli scatti intermedi sono molteplici. Possiamo ad esempio mostrare il personaggio principale del nostro essay con altri personaggi secondari, o ritratto in una qualche attività, possiamo includere molto contesto o usare campi lunghi o non mostrarlo completamente.
Gli scatti medi sono un passo o due più dentro la storia rispetto agli scatti introduttivi.
Ci aiutano a contestualizzare meglio quello che stiamo raccontando.
Naturalmente la tipologia della storia detta la necessità di avere o meno scatti introduttivi. Difficilmente esistono essay fotografici privi di scatti accessori o medi.
Gli scatti medi solitamente identificano i personaggi e il mondo in cui si muovono.
Se stiamo raccontando gli ultimi cowboy dell’Arizona, uno scatto introduttivo potrebbe ritrarre una mandria e un cowboy in campo lungo o lunghissimo, una serie di scatti medi potrebbero chiudere su uno o più cowboy intenti a radunare gli animali o a cavalcare, per poi portare lo spettatore ai singoli ritratti – gli scatti principali
DETTAGLI
Personalmente amo molto l’uso dei dettagli per sviluppare i temi di una storia. I dettagli completano in modo magistrale una storia, e, nella loro operazione di sintesi meta-linguistica, riescono ad essere molto evocativi.
Se il volto segnato dalla vita di un vecchio esule tibetano nei campi profughi del Ladakh è lo scatto principale, le sue mani, il suo rotolo di preghiera, possono essere gli elementi pivotali per un buon storytelling.
Pensiamo in grande e scattiamo in piccolo. È una regola pratica che ci aiuta a completare una buona storia.
Il ritratto dell’anziano nepalese a Pashupatinah che legge tutte le mattine le sue preghiere diventa ancora più forte se lo supportiamo con un dettaglio delle pagine consunte del vecchio libro.
I dettagli sono gregari fondamentali, non scattiamoli con sufficienza o come semplici riempi buchi.

Questo dettaglio “completa” il ritratto d’apertura. Probabilmente da solo non direbbe molto (sia dal punto di vista tecnico, sia dal punto di vista emotivo), ma, a sostegno dell’immagine in apertura, assume una forza evocativa diversa e “porta per mano” chi guarda nel contesto della storia
SCATTI PRINCIPALI
Una storia senza scatti principali non sta in piedi, proprio come un giallo senza assassino!
Pianifichiamo con calma quelli che pensiamo debbano diventare i nostri scatti principali, da loro dipende l’effettivo successo del nostro essay.
Il ritmo costruito attraverso gli scatti introduttivi e gli scatti accessori DEVE sfociare in un climax, in uno scatto forte in grado di sintetizzare la nostra storia. In un essay fotografico possiamo avere più scatti principali, ma non è possibile che esista un essay senza uno scatto culmine.
Lo stile del nostro key shot dipende dalla storia, la tecnica dipende dal linguaggio, dal messaggio e dalla nostra creatività, ma ovunque cada la scelta stilistica e tecnica non possiamo concepire un essay senza un climax, senza uno scatto principale.
Quando imbastiamo la trama di un essay fotografico dobbiamo avere molto ben chiaro quali saranno i nostri scatti principali. I nostri key shot dovranno essere forti, significativi.
Leggereste un giallo dove non c’è assassino?
I key shot rappresentano il culmine della nostra storia, il climax o i climax.
Spesso vanno pianificati in anticipo, alcune volte semplicemente accadono, in ogni caso NON ESISTE STORIA CHE SI RISPETTI SENZA CLIMAX.
Un esempio di scatto principale e di scatti accessori:
Shelter for the Elderly, Pashupatinath, Kathmandu (Nepal)
8 consigli per chi fotografa

Un progetto di fotografia di viaggio può diventare una mostra o un libro e dare il via ad una raccolta di fondi, pensiamoci…
1. DIAMOCI UNA MOSSA
Basta pontificare, basta fare progetti sulla carta e continuare a dirsi appena ho un po’ di tempo lo faccio.
Portare a termini progetti fotografici di successo significa soprattutto portarli a termine!
Può sembrare una sciocchezza o un gioco di parole, ma è in realtà il segreto.
Nessun progetto fotografico sarà mai di successo se rimane nel cassetto o appuntato su qualche foglio o in qualche nota.
Dobbiamo uscire, dobbiamo mettere in pratica quello che abbiamo progettato di realizzare. È il solo modo per vedere se davvero i nostri progetti hanno possibilità di essere di successo.
2. IMPARIAMO
Non sediamoci mai sugli allori, continuiamo a fare ricerca, a documentarci, a studiare nuove tecniche, ad approfondire tecniche già conosciute. È il secondo segreto per progetti di successo.
La rete è la nostra miniera di conoscenza e poi nutriamo gli occhi con buona fotografia, impariamo a diventare divoratori di mostre fotografiche e di libri fotografici, ma facciamolo con l’umiltà di poter imparare qualcosa.
3. APPLICHIAMOCI
Non aspettiamoci che la creatività sprizzi dal nulla e si trasformi in scatti fatti e finiti e in progetti da mostra o da premio.
La creatività va nutrita e iterata e non dimentichiamoci che passa per l’errore, molto spesso.
4. GUARDIAMOCI DENTRO
La fotografia nasce da dentro e si materializza quando incontra il mondo esterno. Dobbiamo imparare a conoscere quello che inquadriamo, ma prima ancora quello che siamo.
5. NON SOTTOVALUTIAMO GLI ASPETTI TECNICI
La visione è fondamentale per la riuscita di un progetto, ma non dobbiamo assolutamente sottovalutare la tecnica. La fotografia è anche fasta di tecnica.
È nostro compito conoscere la nostra attrezzatura nel dettaglio, le possibilità e i limiti. La fotografia – per lo meno per come la intendo io – non è soltanto istinto.
6. PRENDIAMOCI I NOSTRI TEMPI
Portare a termine le cose non deve significare farle di fretta, né tanto meno farsi prendere dall’ansia.
Ozio e iperattività sono i nostri nemici, ma nel mezzo dobbiamo muoverci a nostro agio. Tempi giusti, modalità giuste. Nessuna fretta.
7. DIVERTIAMOCI
Non credo serva dire altro.
8. AIUTIAMO GLI ALTRI (se possibile)
I progetti che prediligo sono quelli che hanno un risvolto sociale e cerco di trovarlo ogni volta che mi è permesso. Poter aiutare chi ha bisogno attraverso i miei progetti fotografici per me è una soddisfazione grandissima. Pensiamoci, è più semplice di quanto si pensi e aggiunge quel piccolo plus che ci nobilita.
La nuova Nikon D810
Faccio una doverosa – e dovuta – premessa: non è mia abitudine, in questo blog, dedicare spazio all’uscita di nuove macchine.
Faccio uno strappo alla regola, sperando che non me ne vogliate, annunciando la nuovissima D810 di casa Nikon.
Lo faccio perché posseggo e uso con grande soddisfazione una D800 e, dal giorno che l’ho acquistata e cominciata ad utilizzare, ho sempre pensato che Nikon non sarebbe riuscita a commercializzare un modello che sapesse proporre un così elevato rapporto tra qualità e prezzo.
Be’, la nuova Nikon D810 sembrerebbe avere tutte le carte in regola per smentirmi.
La nuova D810
Hanno fatto un lavoro di fino in casa Nikon e sono davvero riusciti ad alzare di nuovo l’asticella nel settore delle full frame (FX) amatoriali – anche se quest’aggettivo calza di sicuro stretto per le D800 e D800E, che tendono molto più verso il segmento pro.
36 megapixcel e una scelta radicale: via il filtro ottico AA – che era stato il distinguo tra i due modelli D800 e la D800E.
Personalmente, quando decisi di acquistare la D800, scelsi il modello con il filtro, proprio perché produce scatti più morbidi e senza ombra di moiré nelle trame. La scelta andava a discapito di immagini più incise e meglio dettagliate, lo sapevo da subito, ma non l’ho mai rinnegata.
Di sicuro il filtro ottico ha imposto un passo in più nel mio flusso di lavoro: tanto è vero che la prima azione che compio da due anni a questa parte, una volta importato il NEF da Camera Raw, è quella di applicare un filo di nitidezza (io personalmente prediligo la nitidezza avanzata), per recuperare artificiosamente un po’ di croccantezza.
Direte, ma allora perché non ti sei comprato la D800E? Troppa nitidezza non sempre aiuta, soprattutto se fai ritratti – pori, nei e punti neri non sempre sono un plus!
Torniamo alla nuova D810…
Una raffica migliorata. La D810 è infatti in grado di scattare fino a 5 fotogrammi al secondo, caratteristica che potrebbe accaparrarsi nuovamente l’interesse dei vari fotografi sportivi, delusi dai 4 f/s delle due 800 – personalmente vivo questo problema come marginale, ma comprendo le necessità degli altri, magari legati ad una frazione di secondo…
Anche la gamma ISO è stata ampliata e nel nuovo modello parte da 32 ISO, per arrivare al valore assurdo di 51.200 ISO(!), mantenendo eccellente la qualità di immagine anche a ISO piuttosto spinti.
Onestamente non ho mai spinto la mia D800 oltre gli 8000 ISO, ma devo dire che, anche scattando tra gli 800 e i 3600, il rumore resta davvero contenuto e la qualità complessiva del file finale alta.
Immagino che la nuova D810 sappia mantenere le stesse caratteristiche e che addirittura riesca a spingersi oltre.
Nikon ha poi lavorato sul sistema di messa a fuoco automatica, introducendo una particolare modalità “AF a gruppi” che promette una velocità di messa a fuoco straordinariamente rapida, anche in casi di scarsa illuminazione della scena.
Migliorato anche lo schermo LCD, che ora raggiunge i 1229 punti e sembrerebbe a prova di riflesso – finalmente!
E migliorato anche l’otturatore che, a detta della casa giapponese, dovrebbe assicurare una migliore stabilità e dettagli più precisi nelle riprese video.
Il nuovo sistema, infatti, sembra in grado di ridurre notevolmente le vibrazioni interne – dettaglio di non poco conto nelle riprese con tempi lunghi.
Nital, distribuire di Nikon in Italia, non ha ancora annunciato una data per il lancio del nuovo modello e, tanto meno, ha dato indicazioni sul possibile prezzo end user. Negli USA lo street price la nuova D810 (solo corpo) è di 3299 dollari – qualche spicciolo in più delle sorelle minori D800 e D800E, che vengono vendute attorno ai 2900 dollari.
Molti di noi sono ossessionati dalle tabelle comparative – confesso di esserlo anch’io qualche volta. Chi lo fosse, ossessionato o semplicemente curioso, può cliccare qui ed accedere ad una tabella piuttosto esaustiva che mette a confronto D810 e D800/E.
Da utente, sono molto soddisfatto della mia D800: mi ripaga di ogni euro che ho speso – anche se magari ci si mette un pochino, visto il prezzo pagato.
Per qualche centinaia di euro in più Nikon promette una reflex dalle prestazioni sempre più elevate e sempre più sovrapposte al segmento dei modelli professionali.
Il mio consiglio: se vi potete permettere la spesa… non tiratevi indietro.