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Il fascino indiano del bianco e nero: Raghu Rai

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Settantatre anni, una carriera da fotografo e fotoreporter lunga cinquant’anni, un numero di pubblicazioni di tutto rispetto, Raghu Rai è sicuramente il fotografo indiano più rappresentativo e più famoso.
Nel 1976, Henri Cartier-Bresson si accorse del talento dell’emergente fotografo del Punjab e lo ingaggiò nell’armata Magnum.

Per noi appassionati italiani, il talento dei Raghu Rai è pressoché sconosciuto – e questo è un peccato, considerando l’eccezionalità dei suoi lavori.

Per decenni, al lavoro di fotogiornalismo, Raghu Rai ha affiancato la pubblicazione di quasi venti libri dedicati all’India e alle sue numerosissime sfaccettature, coprendo anche situazioni eccezionali quali il disastro di Bhopal, i campi profughi tibetani del nord, i sikh del Punjab e Madre Teresa di Calcutta.

Nonostante il grosso del lavoro di Raghu Rai sia in bianco e nero,in alcuni degli ultimi progetti Rai si affida al digitale e al colore, per esprire il suo punto di vista sulla sua pa

Nel 1992 arriva finalmente la consacrazione internazionale ufficiale: Raghu Rai vince il premio di Miglior Fotografo dell’Anno.

Personalmente sono convinto che il lavoro di Raghu Rai rappresenti un grandissimo stimolo per chiunque fotografi e un ottimo spunto per coloro che si cimentano con la street photography e il fotogiornalismo.

Ecco alcuni link per conoscere meglio il lavoro di Raghu Rai:

raghurai.com

magnumphotos.com

Mostrala ancora, Steve.

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Prendo in prestito l’immortale “suonala ancora, Sam” di memoria hollywoodiana per attirare l’attenzione su un nuovo appuntamento con Steve McCurry e la sua fotografia.

Questa volta l’appuntamento della mostra “Viaggio intorno all’uomo” è a Siena.

Il 15 giugno apre al pubblico, nel Complesso Museale Santa Maria della Scala in Siena, la mostra dedicata a Steve McCurry, per iniziativa del Comune di Siena in collaborazione con Opera della Metropolitana, promossa e organizzata da Opera – Civita Group, con la collaborazione di Sud Est57.

Per maggiori informazioni sull’evento, cliccate qui

Come catturare il Tibet scomparso.

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Il sogno di molti fotografi di viaggio è quello di immortalare il Tibet, ma nella loro mente il “Regno delle Nevi” è rimasto a prima dell’invasione cinese e quando si recano sull”altopiano rimangono delusi dalle condizioni attuali e dalla modernità introdotta dai cinesi negli ultimi decenni.

Come fare per catturare il Tibet che non c’è più!?

La risposta è semplice: REGALATEVI UN VIAGGIO IN LADAKH.

Il LADAKH è una provincia settentrionale dell’India, tecnicamente un distretto dello stato federale del Jammu e Kashmir.
La capitale del Ladakh è Leh e la si raggiunge con un volo di circa 90 minuti da New Delhi. Il Ladakh a nord confina con la provincia autonoma del Tibet, ora Repubblica Popolare Cinese.

Il Ladakh è un’enclave tibetana e, sia per tradizioni culturali, sia per aspetto geografico, le similitudini con il Tibet sono tante davvero – non a caso il Ladakh è sempre più noto con il nomignolo di Piccolo Tibet.

In Ladakh i monasteri sono rimasti intatti e avvicinare i monaci buddhisti è una cosa semplice, così come girare liberamente in jeep o in moto – cosa che in Tibet è pressoché impossibile.
Essendo India, un viaggio in Ladakh non comporta permessi particolari o costi aggiuntivi, mentre recarsi in Tibet non è esattamente la cosa più agevole, anche partendo dal Nepal.

Alloggiare a Leh ancora piuttosto conveniente e le attività che si possono svolgere nella zone adiacenti all’antica capitale sono numerose, si va dal rafting sull’Indo, alle scalate (la catena dello Stock Kangri ha vette che toccano e superano i 6000 metri), alla scoperta dei numerosi monasteri.

Come il Tibet, il Ladakh è un deserto d’alta montagna,  situato in una zona protetta dai monsoni, per cui è possibile pianificare un viaggio anche in piena estate.. Leh sorge a 3500 metri sul livello del mare, in inverno la temperatura scende di parecchio sotto lo zero e la neve può ostuire passi e strade. In estate, invece, le giornate sono di solito soleggiate e terse – e calde – e le nottate fresche.
Primavera e autunno sono forse le stagioni più piacevoli.

A differenza del Tibet, il Ladakh non  presenta distanze notevoli da coprire e tutto è piuttosto ben collegato con bus e auto a noleggio – fanno fede gli standard indiani (!). Una settimana è il tempo minimo per accostarsi al Piccolo Tibet.
Da Leh, con un dodici/quattordici ore di bus si può raggiungere Shrinagar, in Kashmir e unire due viaggi (totalmente diversi) in un breve lasso di tempo.

Cercate il Tibet scomparso? visitate il Ladakh.

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Varanasi in mostra.

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Il 19 marzo, alle 19 inauguro alla Libreria Azalai di Milano una personale fotografica dedicata a Varanasi e al suo incantevole enigma. La mostra si chiama “Varanasi tra acqua e fuoco” e resterà in esposizione fino al 23 marzo.

Varanasi è l’India, Mi piace dire, in modo provocatorio, che chi non è stato a Varanasi, non è stato in India, proprio perché, secondo me, Varanasi incarna l’India.
Caotica, colorata, sporca, mistica. Affascinante! Questa è la Varanasi che conosco e fotografo da oltre dieci anni. Fotograficamente parlando, Varanasi offre spunti incredibili per qualsiasi tipo di fotografo: dettagli, panorami, ritratti, reportage.

VARANASI, TRA ACQUA E FUOCO è una mostra fotografica che coglie i diversi aspetti di in luogo che è molto più di una città.

VARANASI, TRA ACQUA E FUOCO
Libreria Azalai
Via Gian Giacomo Mora, 15 – Milano
dal 19 al 23 marzo 2013
Inaugurazione 19 marzo, ore 19

Fotografare eventi pubblici: consigli sul campo

Kumbh Mela - non fatevi trovare impreparati e soprattutto non fatevi trovare preda della folla

Kumbh Mela – non fatevi trovare impreparati e soprattutto non fatevi trovare preda della folla

Ed ecco il seguito al post dedicato alla preparazione di un reportage di manifestazioni pubbliche.

Le opportunità fotografiche rappresentate da una manifestazione pubblica sono davvero molte, anche se spesso i momenti clou di un evento sono soltanto un paio.
Un buon fotografo deve però imparare a prendere spunti diversi.

SPUNTI FOTOGRAFICI PER DOCUMENTARE UN EVENTO PUBBLICO

  • l’evento stesso, sfruttando diversi punti di ripresa, lunghezze focali diverse e cercando di fissare quelli che sono effettivamente i momenti salienti della manifestazione
  • il dietro le quinte
  • i preparativi
  • il pubblico
  • il dopo evento

Come vedete, solo in questo breve elenco. troviamo spunti diversi che possono aiutarci a confezionare un vero proprio reportage monotematico.
Pensate ad esempio ad un evento come il palio di Siena, o simili.
Molti di noi si concentreranno sulla gara stessa, i cavalli al galoppo, i fantini intenti a tracciare la corsa migliore, le loro espressioni… già questo potrebbe bastare, anche se, in realtà, foto di questo genere ne esistono centinaia di migliaia e tutte più o meno simili.
Pensate ora invece a quante pochi scatti documentano la preparazione della piazza del campo, gli addetti che montano le transenne, o i maniscalchi che ferrano i cavalli, i fantini che si vestono, la folla che si accalca per le stradine e pensate a quello che rimane sul campo di un evento di tale portata.

Tutto questo è degno di essere scattato e messo a corredo di un reportage sul Palio. Non solo il risultato sarà più appagante dal punto di vista meramente fotografico, ma offrirà una testimonianza molto più personale dell’evento stesso.

Quando si documenta un evento pubblico è bene scattare molto.
Poi in fase di editing e di scelta – e non durante la manifestazione – ci preoccuperemo di cancellare le foto che non ci soddisfano a pieno.
Per questo motivo dotiamoci di un numero sufficiente di card e teniamole a portata di mano, spesso il tempo a disposizione è limitato e sostituire la card piena con una card nuova è un’0perazione che va fatta in grande velocità.

Quando ad Annie Leibovitz venne affidato l’incarico di documentare il tour dei Rolling Stones del 1976, l’allora giovane e sconosciuta fotografa adottò uno stratagemma per non finire travolta dal pubblico . La Leibovitz aveva capito che le ultime canzoni di ogni concerto rappresentavano un grosso rischio per la sua incolomità, in quanto il pubblico correva per raggiungere il palco, poco prima che tutto si scatenasse attorno a lei Annie riponeva la sua macchina fotografica e si allontanava, aveva imparato che restare a ridosso del palco in quei momenti poteva costarle qualche costola rotta.

Questo cosa ci deve insegnare?
Impariamo a leggere gli eventi con un po’ di anticipo, prima di trovarci in situazioni scomodo o pericolose, cosa per nulla rara quando si ha a che fare con eventi pubblici… e se mai vi venisse in mente di fotografare il Kumbh Mela, io eviterei di farmi sorprendere su un ponte sul Gange durante la prima alba…

 

 

Posing Souls, il mondo attraverso i ritratti

Uno dei 31 ritratti contenuti in Posing Souls

Uno dei 31 ritratti contenuti in Posing Souls

POSING SOULS, il mio nuovo libro fotografico è disponibile su Blurb.

POSING SOULS  è un work-in-progress che cerca di raccontare le culture del mondo attraverso il ritratto.
Il primo volume  di POSING SOULS raccoglie 31 ritratti scattati nell’agosto del 2012 in India e Nepal.

Potete sfogliare alcune pagine di  POSING SOULS cliccando qui  (il libro è in vendita su Blurb.com)

POSING SOULS
Coffee table book (30×30)
64 pgg.
Rilegato con copertina  rigida e sovracoperta

Restrizioni culturali

Saddhu nell'hashram di Pashupatinath a Kathmandu

Saddhu nell’hashram di Pashupatinath a Kathmandu

Molto spesso mi capita di sentire  fotografi di ritorno dai loro viaggi parlare, e spesso sproloquiare,  delle enormi differenze culturali  che si incontrano fotografando all’estero, soprattutto in paesi medio orientali o asiatici.

A mio avviso quello delle differenze culturali è un falso problema.
Mi spiego meglio, se ci comportiamo educatamente, il nostro comportamento verrà rilevato universalmente, a qualsiasi latitudine ci troviamo a scattare. Così come un comportamente sgarbato viene inequivocabilmente percepito sia che ci si trovi a Kathmandu, sia che ci si trovi a Dakar.

Una buona regola è RENDERSI IL PIU’ INVISIBILI POSSIBILI.
Funziona sempre e se commetteremo un errore o una gaffe, ci verrà sicuramente perdonata, se fino a quel momento ci siamo mossi con rispetto.

Vero è che esistono luoghi e situazioni che richiedono una sensibilità maggiore, ad esempio se ci capitasse di assistere ad una cremazione indu o a un rito religioso buddista o ad uno sciamano che cade in trance… in questi casi soltanto la nostra sensibilità saprà dirci come è meglio comportarci.

Io, per norma mia personale, non fotografo mai nessun rito funebre, che sia una cremazione o una sepoltura. Credo che siano quelli momenti troppo personali per venire immortalati da un intruso.
Altri fotografi hanno opinione diversa dalla mia e si comportano secondo coscienza. Ognuno la sua.

Documentare la povertà nel mondo può costare molto. Ad esempio a Delhi potrebbe costarvi una multa se non addirittura un arresto, conviene essere rapidi per non attirare l’attenzione di zelanti ufficiali di polizia, che ci vedrebbero come un potenziale bancomat su due gambe.

Qualche consiglio che nasce dall’esperienza:

  • guardiamoci in giro e cerchiamo di capire cosa fanno gli altri
  • evitiamo di attirare su di noi inutili attenzioni
  • evitiamo di manifestare eventuale disappunto o rabbbia, dopo un rifiuto, mostriamo sempre la nostra faccia migliore, avremo tempo per sfogarci più tardi, da soli
  • cerchiamo di essere cortesi ed educati
  • impariamo alcune frasi nella lingua locale, se non riusciranno a trarci d’impacci, ci aiuteranno almeno a diventare più simpatici e la simpatia è un’arma potentissima
  • sorridiamo, sempre!
  • informiamoci prima sulle restrizioni religiose legate all’immagine personale, ci sono religioni africane che credono la fotografia catturi l’anima, presentarsi con una macchina fotografica al collo e sperare di ritrarre qualche seguace di queste religioni è, non soltanto uno sgarbo, ma anche un atto azzardato.

Fotografare i bambini è un soggetto sempre molto delicato, in Italia come all’estero – in realtà forse più in Italia, dove una legge sulla privacy infantile è giustamente vincolante.
In paesi come l’India sono gli stessi bambini a chiedere insistentemente di essere fotografati, per loro è un divertente gioco, ma vale sempre la pena di chiedere il permesso ad un adulto nei paraggi.

Pagare per fotografare.
Questo è uno dei tipici diverbi tra fotografi di viaggio. Pago per fotografare o non pago?
Io cerco sempre di propendere per la seconda scelta, cerco di privilegiare il rapporto umano, molto spesso un soggetto locale ha più piacere nel provare ad instaurare un rapporto con noi, che non nel prendere qualche spicciolo,
In India, ad esempio, ci sono eserciti di figuranti che si fanno pagare per farsi immortalare, io lascio perdere ancora prima che mi approccino.
Ma non manco di offrire un tè o i soldi per un tè a chi si lascia avvicinare e mi concede il privilegio di ritrarlo.
Spesso è il primo passo per stringere rapporti personali che sanno andare oltre la semplice inquadratura mordi e fuggi.

Più difficile fotografare il Taj Mahal


Diventa più difficile fotografare il Taj Mahal di Agra.

Le restrizioni sono rigidissime, soprattutto se consideriamo il fatto di trovarci in India, dove guardare da un’altra parte, dopo aver intascato una lauta bakshees è l’abitudine nazionale.

Ma questa volta non c’è verso!

Se intendete scattare il Taj Mahal dalle rive del fiume Yamuna, alle spalle del monumento, sappiate che la zona è sorvegliata dalla polizia che vi permette di piazzare il vostro cavalletto in un solo punto – purtroppo nemmeno troppo centrato. Il resto della riva è off limits, salvaguardato da filo spinato. E anche provare a raggiunge il fiume, a piedi o in barca, è proibito.

Se volete mettervi un po’ meno obliqui, non resta che pagare 100 rupie (€ 1,50) ed entrare nel giardino botanico di Methab Bag, lì vicino, con il piccolo inconveniente che, nei giardini, non potrete usare il cavalletto. I giardini aprono alle 7 e chiudono alle 19.

Fotografo avvisato, fotografo mezzo salvato.
La polizia vi richiama un paio di volte, dopo di che vi arresta.

La lettura serale

Stavo rientrando in albergo dopo una lunga giornata passata a fotografare per le strade di Old Delhi.
Ormai sera e molto stanco, i negozi che si affacciano sulla strada stavano abbassando le saracinesche e le strade cominciavano a svuotarsi lentamente.

Ad un certo punto mi imbatto in un uomo, allungato sul suo  charpoi, intento a leggere, illuminato appena dalla luce fioca di una lampadina appesa al soffitto.

Poca luce e poco tempo.
Dovevo decidermi se provare o tirare dritto verso una meritata doccia calda.
Volevo rendere l’atmosfera intima di quel momento.
Macchina in manuale e lettura dell’esposizione spot sulla pagina del libro – uno dei pochi  particolari in luce della scena, la macchina così’  ha chiuso, lasciando intravvedere appena i dettagli della scena, ma contribuendo a rendere il tutto più interessante.

La fotografia di viaggio è anche questo: ragionare velocemente e mettere via la macchina solo una volta arrivati a letto.

Un progetto nel cassetto: i campi della memoria tibetana

Scuola elementare all’interno del campo profughi di Agling, Ladakh (India)

Ecco un progetto che ho lì e che spero un giorno di portare a termine.
Fotografare e intervistare gli abitanti dei numerosi campi profughi tibetani nell’India del nord.

Ci abitano bambini e adulti che il Tibet non lo hanno mai visto e ancora qualche anziano che invece del Regno delle Nevi porta con sè un ricordo indelebile.

Purtroppo questi anziani profughi hanno tutti una settantina d’anni circa e la loro generazione è l’ultima in grado di raccontare e tramandare il Tibet prima di Mao Tze Dong.

Ne ho fotografiati qualcuno e – con l’aiuto di un interprete indo-tibetano – ho raccolto qualche storia.
Sarebbe bello poterlo completare questo progetto e magari ricavarne una mostra e un libro, i cui ricavati potrebbe addolcire la durezza delle giornate nei campi profughi del Ladakh.

  

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