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Story telling: allenare l’occhio

Dhaba – Kathmandu (Nepal). Con un briciolo di immodestia credo che questo scatto condensi occhio, cuore e macchina fotografica. Secondo voi?
L’arte di raccontare attraverso le immagini passa attraverso l’occhio, il cuore e la macchina fotografica, che per parafrasare uno dei più grandi visual story teller mai vissuti, Henry Cartier-Bresson.
Ma cosa significano occhio, cuore e macchina fotografica?
Se la macchina è la tecnica e il cuore, la passione. Che cos’è l’occhio?
OCCHIO – è la capacità di vedere, che va oltre il semplice guardare.
Se intendiamo raccontare una storia, dobbiamo prima riuscire a vederla.
Ho cominciato a cincischiare con la macchina fotografica al collo da ragazzino, guidato da un vecchio saggio la cui pazienza era inversamente proporzionale al talento, che non faceva che ripetermi, guardati attorno, testa di rapa, non smettere di guardarti attorno, devi essere curioso e devi imparare a guardare le cose a gambe all’aria. Allora non capivo proprio esattamente quello che il buon Pietro Donzelli cercava di dirmi, ma ci provavo, più per non deludere il grande vecchio e quando mi riusciva, il burbero Donzelli si lasciava sfuggire un “ah, a l’era l’ura!” – che dal milanese significa, finalmente, era ora.
Di quei primi giorni mi forse rimasta una cosa: LA CURIOSITÀ. Non possiamo raccontare una storia se la storia non ci incuriosisce per primi, se non ci interessa, se non ci appassiona.
La curiosità dev’essere la benzina che muove e che ci porta a vedere.
Non importa quanta competenza tecnica possiamo avere, se non siamo in grado di vedere, faremo sempre molta fatica a raccontare storie interessanti, singolari, toccanti.
La capacità di vedere si può allenare, imparando a prestare attenzione ai dettagli, guardando dove gli altri non guardano, per pigrizia o conformismo, mantenendo sempre alta l’attenzione e cercando un continuo connubio tra cuore e tecnica, avventurandosi su tecniche, sperimentando e cercando di mettere la tecnica al servizio della narrazione.
Non dobbiamo mai smettere di osservare.
Osservare i dettagli, osservare la luce, osservare le geometrie. Studiare la scena, che sia abbia o meno la macchina fotografica in mano. Immaginare l’inquadratura, immaginarla con tre diaframmi più chiusa, ripensarla ripresa con un grandangolo spinto. Osservare. Osservare le crepe dei muri, gli intonaci che si staccano, le pieghe del mento della cassiera che ci dà il resto e come la luce della finestra la illumini. Osservare!
Le storie sono continuamente davanti a noi, scrive Jerod Foster. Non posso che essere d’accordo con lui.
Quante volte abbiamo guardato lo scatto di un altro fotografo e ci siamo detti – con un filo di invidia, suvvia confessiamolo – “cazzo io questo mica l’ho notato” e magari quella scena l’abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni e chissà da quanto…
Le storie sono costantemente davanti a noi, vero è che alcune vale la pena di raccontarle più di altre, ma non è questo il punto, non ora. Il punto è che dobbiamo fare leva su una costante curiosità, che a sua volta scateni la nostra capacità di osservare il mondo che ci circonda.
Per quali motivi non vediamo le storie che abbiamo davanti?
Il motivo più ricorrente è l’abitudine. Dobbiamo imparare a guardare come guarderebbe uno straniero, anche se non è cosa facile.
Dobbiamo imparare a scomporre la realtà in micro-realtà. Ci accorgeremo della folla sulla Broadway se cominciamo ad osservare uno ad uno i diversi volti, le diverse espressioni. I dettagli sono un ottimo acceleratore di storie. Anche le grandi storie passano per i piccoli dettagli, impariamo ad usare la retorica, se funziona per gli scrittori, funziona anche per noi.
Raccontiamo le nostre storie attraverso il linguaggio delle figure retoriche – per iniziare almeno, per allenarci (a queste voglio dedicare uno dei prossimi post).
La sineddoche, ad esempio, la parte per il tutto. Ritraiamo un dettaglio per significare la totalità.
Spesso troppo presi dalla ricerca della storia perfetta, sottovalutiamo la forza del dettaglio, quando altrettanto spesso la storia è proprio nel dettaglio.
Alleniamoci a vedere i dettagli, farà bene alla nostra capacità di raccontare storie attraverso le immagini.
Archiviamo Orvieto… guardiamo avanti!
Eccomi di ritorno dalla due giorni fotografica di Orvieto, il workshop “Le basi della fotografia di viaggio e della street photography”.
Da dove comincio?! questo è il problema… innanzitutto voglio ringraziare i partecipanti, che hanno colto lo spirito del workshop e hanno partecipato con entusiasmo e voglia di condividere.
La differenza tra un corso e un workshop di due giorni sta tutta qui: nella capacità di condividere e nella capacità di non aspettarsi la veritù spiegata dall’alto.
In un workshop NON esiste un maestro – la mia figura era più quella del coordinatore, del pungolatore… certo non ho risparmiato le critiche, ma io per primo ho cercato di cogliere i suggerimenti – più o meno espliciti – che arrivavano dai partecipanti. Un workshop devi lasciarti indizi per gli scatti che faremo.
Sono convinto che siano stati due giorni interessanti per tutti… lo leggo nelle parole che gli amici che hanno partecipato mi scrivono e l’ho letto negli occhi di tutti quando ci siamo salutati domenica sera ed ognuno è tornato alla sua vita.
Reportage di viaggio: posti facili dai quali iniziare
Da dove si inizia per imbastire un fotoreportage di viaggio?
Difficile da stabilire con esattezza, soprattutto perché ognuno di noi ha un modus operandi tutto suo.
Provo allora a rivolgermi a tutti coloro che si sono avvicinati alla fotografia di viaggio da poco tempo e ancora non hanno un modo di operare fidato,
Da dove si inizia, allora?
Non smetterò mai di ripeterla che alla base di un buon reportage di viaggio c’è la ricerca. Attraverso la ricerca siamo in grado di figuracce con un certo anticipo quello che incontreremo sul campo. In piena globalizzazione, a meno che non si investa in un viaggio davvero estremo, sarà difficile trovare un angolo di mondo che non sia già stato fotografato, per cui non sentiamoci sciocchi nel fare ricercar a dove altri fotografi, magari anche famosi, hanno già scattato.
La nostra ricerca può partire da scatti famosi, vedere quello che fanno o hanno fatto i grandi può aiutarci a creare un piano d’azione.
Una buona guida turistica può risultare molto utile per determinare il periodo dell’anno migliore per pianificare il nostro viaggio. Una guida ci dirà quando il clima è più favorevole, quando cadono le festività più importanti o i festival.
Una volta sul posto? Ecco una semplice lista dalla quale partire, chiaramente ogni parte del pianeta offre spunti differenti, ma molte delle location riportate di seguito sono un buon punto di partenza per un reportage di viaggio.
Oltre naturalmente ai punti turistici caratteristici, che non dovrebbero mancare