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Quale borsa portarsi in viaggio
La borsa è un accessorio di vitale importanza, in particolar modo quando si fotografa in viaggio.
Scegliere la borsa giusta è un momento fondamentale.
Come potrete chiaramente immaginare NON esiste una borsa ideale per ogni occasione, ma è comunque possibili individuare una tipologia di borsa che faccia al caso nostro, nella situazione specifica.
Questo non significa per forza possedere decine di borse fotografiche diverse.

Il mio zaino pronto per uscire
Personalmente posseggo una Vertex 100 AW della Lowepro – marca alla quale sono affezionato da molti anni e che non mi ha mai tradito. Si tratta di uno zaino piuttosto compatto che mi permette di girare con un corpo macchina, tre obiettivi, un flash, un computer/ipad e un po’ di accessori. La mia Vertex ha due tasche sul davanti che mi permettono di buttarci dentro un po’ di roba varia – ad es. chiavi, occhiali, registratorini MP3, mini torce, ecc.
Non so dirvi se sia la migliore borsa disponibile sul mercato, ma per quello che serve a me lo è.
Capiente quanto basta (anche perché l’attrezzatura che vi ho descritto, e che mi porto in giro sempre, pesa un bel 10 chili), dotata di una protezione per la pioggia, di un aggancio per il cavalletto e con le cerniere sigillate, la mia Vertex mi assicura affidabilità inj ogni situazione. E in più sta nelle dimensioni consentite per essere imbarcata con me quando volo.
Perché vi racconto della mia borsa e non vi faccio un elenco di borse e modelli disponibili?
Perché vorrei farvi capire quanto sia soggettiva la scelta e secondo quali criteri l’abbia fatta.
Riepiloghiamo, la borsa deve:
- contenere agevolmente TUTTO la vostra attrezzatura standard
- contenrere un po’ di più (!)
- avere gli scompartimenti imbottiti e mobili, riposizionabili con il velcro
- essere a prova di intemperie
- poter essere imbarcata senza problemi da qualsiasi compagnia aerea
- essere leggera
- essere robusta
- pratica (e questo conta molto e conta molto il modo in cui siete abituati a scattare
Non importa che sia uno zaino o che sia una tracolla, non importa che si tratti di un leggero modello monospalla e una borsa rigida stile flight case, quello che conta è che vi torni comoda e non vi intralci.
Il mio consiglio è di evitare i colori sgargianti e fluorescenti che hanno fatto la loro comparsa nel monocromatico universo delle borse fotografiche da qualche tempo, attirano troppo l’attenzione ed evitate anche di acquistare quei modelli ricoperti di patch con sopra scritto photographer o I love photography, ci sono posti dove non è prudente gridare che abbiamo del costoso materiale addosso e altri dove i fotografi non sono proprio i primi benvenuti.
Tasche e imbottiture sono i dettagli da verificare e non sottovalutare.
Controllate anche che al suo interno sia presente almeno una di quelle tasche a rete (mesh pocket), utilissime per buttarci dentro card, batterie e altri piccoli accessori.
Quali marche?
Io sono un fedele estimatore di Lowepro – che però ha il difetto di costare un po’. Tamrac è altrettanto valida. Tenba, Manfrotto e Kata per citarne solo alcune.
Quanto spendere?
Non lesinate, gli state affidando la vostra attrezzatura, ma assicuratevi di fare l’acquisto corretto. Non vergognatevi di provare, di aprire, di valutare modelli diversi.
Workshop di Milano, ancora pochissimi posti disponibili
Manca meno di una settimana al workshop di Milano e i posti ancora disponibili sono davvero pochissimi.
La sceltas è quella di mantenere un gruppo snello, il cui numero di partecipanti non superi la decina, questo mi permette a tutti di interagire e di essere seguiti in maniera continua.
Un workshop, al contrario di un corso, vive di condivisione e di interazione, ecco perché un gruppo troppo allargato di partecipanti non è una cosa buona. Mentre un classe nutrita è sinonimo di corso di successo, un gruppo troppo folto di partecipanti ad un workshop spesso genera confusione.
Il workshop di questo fine settimana è rivolto al principiante e al principiante avanzato, a chi si avvicina alla fotografia e a chi le basi le conosce già, ma non disdegna un sano ripasso pratico.
Due giorni dedicati alla tecnica di base, qualche ora di teoria in studio e poi pratica… macchina in pugno e via!
Per iscriversi:
- attraverso il blog – clicca qui
- attraverso facebook – clicca qui
Il meteo (incrociando le dita) dà bel tempo, per cui… approfittane!
Come catturare il Tibet scomparso.
Il sogno di molti fotografi di viaggio è quello di immortalare il Tibet, ma nella loro mente il “Regno delle Nevi” è rimasto a prima dell’invasione cinese e quando si recano sull”altopiano rimangono delusi dalle condizioni attuali e dalla modernità introdotta dai cinesi negli ultimi decenni.
Come fare per catturare il Tibet che non c’è più!?
La risposta è semplice: REGALATEVI UN VIAGGIO IN LADAKH.
Il LADAKH è una provincia settentrionale dell’India, tecnicamente un distretto dello stato federale del Jammu e Kashmir.
La capitale del Ladakh è Leh e la si raggiunge con un volo di circa 90 minuti da New Delhi. Il Ladakh a nord confina con la provincia autonoma del Tibet, ora Repubblica Popolare Cinese.
Il Ladakh è un’enclave tibetana e, sia per tradizioni culturali, sia per aspetto geografico, le similitudini con il Tibet sono tante davvero – non a caso il Ladakh è sempre più noto con il nomignolo di Piccolo Tibet.
In Ladakh i monasteri sono rimasti intatti e avvicinare i monaci buddhisti è una cosa semplice, così come girare liberamente in jeep o in moto – cosa che in Tibet è pressoché impossibile.
Essendo India, un viaggio in Ladakh non comporta permessi particolari o costi aggiuntivi, mentre recarsi in Tibet non è esattamente la cosa più agevole, anche partendo dal Nepal.
Alloggiare a Leh ancora piuttosto conveniente e le attività che si possono svolgere nella zone adiacenti all’antica capitale sono numerose, si va dal rafting sull’Indo, alle scalate (la catena dello Stock Kangri ha vette che toccano e superano i 6000 metri), alla scoperta dei numerosi monasteri.
Come il Tibet, il Ladakh è un deserto d’alta montagna, situato in una zona protetta dai monsoni, per cui è possibile pianificare un viaggio anche in piena estate.. Leh sorge a 3500 metri sul livello del mare, in inverno la temperatura scende di parecchio sotto lo zero e la neve può ostuire passi e strade. In estate, invece, le giornate sono di solito soleggiate e terse – e calde – e le nottate fresche.
Primavera e autunno sono forse le stagioni più piacevoli.
A differenza del Tibet, il Ladakh non presenta distanze notevoli da coprire e tutto è piuttosto ben collegato con bus e auto a noleggio – fanno fede gli standard indiani (!). Una settimana è il tempo minimo per accostarsi al Piccolo Tibet.
Da Leh, con un dodici/quattordici ore di bus si può raggiungere Shrinagar, in Kashmir e unire due viaggi (totalmente diversi) in un breve lasso di tempo.
Cercate il Tibet scomparso? visitate il Ladakh.
ISO Automatici: quando possono toglierci d’impaccio
Qualche tempo fa, conversando con un amico fotografo, si chiacchierava della funzione “ISO automatici” capacità di togliere le castagne dal fuoco di questa opzione, che, ammetto, spesso molti di noi non prendono mai sufficientemente in considerazione.
ISO AUTOMATICI è quella funzione, che, una volta impostati tempo e diaframma, si prende cura di aumentare o diminuire automaticamente l’impostazione degli ISO se cambia la luminosità della nostra scena.
Bene, questo è quello che fa la funzione e fino a qui potevamo arrivarci un po’ tutti, ma pensiamo a cosa ci può servire…
La funzione diventa molto utile soprattutto quando stiamo seguendo un soggetto in movimento e il cui movimento non è prevedibile – ad esempio il volo di un’aquila o la corsa di un ghepardo (!)… sì, lo so, sono esempi estremi… se preferite pensate a vostro figlio che gioca in un campo di calcio e il sole che illumina il rettangolo di gioco in modo non uniforme, alternando zone d’ombra a zone di luce… ecco, in questo caso la funzione ISO AUTOMATICI si fa molto utile.
Impostiamo tempo e diaframma che riteniamo più opportuni per congelare l’azione (o per creare il mosso in maccchina) e per isolare il soggetto e il resto, gli ISO, lo lasciamo alla nostra costosa macchina fotografica
Capire la luce: la luce dei climi secchi
Le zone secche possono presentari tipologie di luce molto diverse tra loro, è bene conoscere prima le potenzialità che ci verranno offerte una volta sul posto.
SAVANA
La savana (ad es. Africa orientale) alterna una lunga stagione calda e arida ad una più breve caratterizzata da intense piogge.
Durante la stagione arida, la luce intensa e le giornate sono solitatamene caratterizzazte da un cielo terso e luminoso, spesso appena velato, che mantiene la sua brillantezza anche durante la notte, nonostante l’oscuità.
Durante la breve stagione delle piogge, la luce varia molto, ma il cielo non appare mai coperto da una pesante coltre di nubi grigie come invece capita spesso di incontrare nelle zone interessate dai monsoni.
STEPPA
Il clima che caratterizza la steppa è di solito piuttosto secco e le poche precipitazioni si distribuiscono nel corso dell’anno in modo del tutto irregolare ed inaspettato.
Queste zone della terra (ad es. Messico, Afghanistan) sono caratterizzate da cieli molto chiari e tersi, sgombri di nuvole. Durante il breve periodi di pioggia, il cielo di carica di nubi che tendono a diradarsi quasi subito dopo la precipitazione.
DESERTO
Pochissima pioggia concentrata soprattutto in una breve stagione dell’anno, per il resto il clima è davvero arido e presenta escursioni termiche anche piuttosto estreme tra il giorno e la notte. E’ facile imbattersi in tempeste di sabbia, capaci a volte anche di oscurare il cielo come se fosse notte.
Nei deserti a ridosso del mare, la nebbia non è un fenomeno così improbabile, specialmente nelle prime ore del giorno.
La luce è molto intensa. Ideale fotografare durante le prime ore del giorno e attorno al tramonto, anche se in questi casi potrebbe risultare una dominante arancione calda fin troppo presente
Fotografare eventi pubblici: consigli sul campo
Ed ecco il seguito al post dedicato alla preparazione di un reportage di manifestazioni pubbliche.
Le opportunità fotografiche rappresentate da una manifestazione pubblica sono davvero molte, anche se spesso i momenti clou di un evento sono soltanto un paio.
Un buon fotografo deve però imparare a prendere spunti diversi.
SPUNTI FOTOGRAFICI PER DOCUMENTARE UN EVENTO PUBBLICO
- l’evento stesso, sfruttando diversi punti di ripresa, lunghezze focali diverse e cercando di fissare quelli che sono effettivamente i momenti salienti della manifestazione
- il dietro le quinte
- i preparativi
- il pubblico
- il dopo evento
Come vedete, solo in questo breve elenco. troviamo spunti diversi che possono aiutarci a confezionare un vero proprio reportage monotematico.
Pensate ad esempio ad un evento come il palio di Siena, o simili.
Molti di noi si concentreranno sulla gara stessa, i cavalli al galoppo, i fantini intenti a tracciare la corsa migliore, le loro espressioni… già questo potrebbe bastare, anche se, in realtà, foto di questo genere ne esistono centinaia di migliaia e tutte più o meno simili.
Pensate ora invece a quante pochi scatti documentano la preparazione della piazza del campo, gli addetti che montano le transenne, o i maniscalchi che ferrano i cavalli, i fantini che si vestono, la folla che si accalca per le stradine e pensate a quello che rimane sul campo di un evento di tale portata.
Tutto questo è degno di essere scattato e messo a corredo di un reportage sul Palio. Non solo il risultato sarà più appagante dal punto di vista meramente fotografico, ma offrirà una testimonianza molto più personale dell’evento stesso.
Quando si documenta un evento pubblico è bene scattare molto.
Poi in fase di editing e di scelta – e non durante la manifestazione – ci preoccuperemo di cancellare le foto che non ci soddisfano a pieno.
Per questo motivo dotiamoci di un numero sufficiente di card e teniamole a portata di mano, spesso il tempo a disposizione è limitato e sostituire la card piena con una card nuova è un’0perazione che va fatta in grande velocità.
Quando ad Annie Leibovitz venne affidato l’incarico di documentare il tour dei Rolling Stones del 1976, l’allora giovane e sconosciuta fotografa adottò uno stratagemma per non finire travolta dal pubblico . La Leibovitz aveva capito che le ultime canzoni di ogni concerto rappresentavano un grosso rischio per la sua incolomità, in quanto il pubblico correva per raggiungere il palco, poco prima che tutto si scatenasse attorno a lei Annie riponeva la sua macchina fotografica e si allontanava, aveva imparato che restare a ridosso del palco in quei momenti poteva costarle qualche costola rotta.
Questo cosa ci deve insegnare?
Impariamo a leggere gli eventi con un po’ di anticipo, prima di trovarci in situazioni scomodo o pericolose, cosa per nulla rara quando si ha a che fare con eventi pubblici… e se mai vi venisse in mente di fotografare il Kumbh Mela, io eviterei di farmi sorprendere su un ponte sul Gange durante la prima alba…
Restrizioni culturali
Molto spesso mi capita di sentire fotografi di ritorno dai loro viaggi parlare, e spesso sproloquiare, delle enormi differenze culturali che si incontrano fotografando all’estero, soprattutto in paesi medio orientali o asiatici.
A mio avviso quello delle differenze culturali è un falso problema.
Mi spiego meglio, se ci comportiamo educatamente, il nostro comportamento verrà rilevato universalmente, a qualsiasi latitudine ci troviamo a scattare. Così come un comportamente sgarbato viene inequivocabilmente percepito sia che ci si trovi a Kathmandu, sia che ci si trovi a Dakar.
Una buona regola è RENDERSI IL PIU’ INVISIBILI POSSIBILI.
Funziona sempre e se commetteremo un errore o una gaffe, ci verrà sicuramente perdonata, se fino a quel momento ci siamo mossi con rispetto.
Vero è che esistono luoghi e situazioni che richiedono una sensibilità maggiore, ad esempio se ci capitasse di assistere ad una cremazione indu o a un rito religioso buddista o ad uno sciamano che cade in trance… in questi casi soltanto la nostra sensibilità saprà dirci come è meglio comportarci.
Io, per norma mia personale, non fotografo mai nessun rito funebre, che sia una cremazione o una sepoltura. Credo che siano quelli momenti troppo personali per venire immortalati da un intruso.
Altri fotografi hanno opinione diversa dalla mia e si comportano secondo coscienza. Ognuno la sua.
Documentare la povertà nel mondo può costare molto. Ad esempio a Delhi potrebbe costarvi una multa se non addirittura un arresto, conviene essere rapidi per non attirare l’attenzione di zelanti ufficiali di polizia, che ci vedrebbero come un potenziale bancomat su due gambe.
Qualche consiglio che nasce dall’esperienza:
- guardiamoci in giro e cerchiamo di capire cosa fanno gli altri
- evitiamo di attirare su di noi inutili attenzioni
- evitiamo di manifestare eventuale disappunto o rabbbia, dopo un rifiuto, mostriamo sempre la nostra faccia migliore, avremo tempo per sfogarci più tardi, da soli
- cerchiamo di essere cortesi ed educati
- impariamo alcune frasi nella lingua locale, se non riusciranno a trarci d’impacci, ci aiuteranno almeno a diventare più simpatici e la simpatia è un’arma potentissima
- sorridiamo, sempre!
- informiamoci prima sulle restrizioni religiose legate all’immagine personale, ci sono religioni africane che credono la fotografia catturi l’anima, presentarsi con una macchina fotografica al collo e sperare di ritrarre qualche seguace di queste religioni è, non soltanto uno sgarbo, ma anche un atto azzardato.
Fotografare i bambini è un soggetto sempre molto delicato, in Italia come all’estero – in realtà forse più in Italia, dove una legge sulla privacy infantile è giustamente vincolante.
In paesi come l’India sono gli stessi bambini a chiedere insistentemente di essere fotografati, per loro è un divertente gioco, ma vale sempre la pena di chiedere il permesso ad un adulto nei paraggi.
Pagare per fotografare.
Questo è uno dei tipici diverbi tra fotografi di viaggio. Pago per fotografare o non pago?
Io cerco sempre di propendere per la seconda scelta, cerco di privilegiare il rapporto umano, molto spesso un soggetto locale ha più piacere nel provare ad instaurare un rapporto con noi, che non nel prendere qualche spicciolo,
In India, ad esempio, ci sono eserciti di figuranti che si fanno pagare per farsi immortalare, io lascio perdere ancora prima che mi approccino.
Ma non manco di offrire un tè o i soldi per un tè a chi si lascia avvicinare e mi concede il privilegio di ritrarlo.
Spesso è il primo passo per stringere rapporti personali che sanno andare oltre la semplice inquadratura mordi e fuggi.
Uno scopo più alto
Ogni volta che mi capita di viaggiare in paesi poveri – e di fotografare – mi chiedo se quello che faccio in qualche modo più cambiare qualcosa di quello che vedo. Troppo spesso la risposta è no, per un milione di motivi, molti dei quali validi, molti altri invece tirati in piedi dalla pigrizia o dalla paura di non essere capaci.
C’è un uomo che questa paura invece non ce l’ha e tiene in piedi tre charity school e un lebbrosario attraverso il novanta per cento di quello che guadagna con la lettura del quadro astrale e c’è un venerando medico tedesco, che da vent’anni fornisce loro medicinali e garze e almeno una volta l’anno da vent’anni viene ad operare i lebbrosi che ne hanno bisogno.
Non sono in grado di fare nulla di quello di quello che sanno fare il bramino indiano e il medico tedesco, se non dare un piccolo contributo e provare a far conoscere la situazione.
Oggi Babaji, il bramino indiano, mi ha accompagnato prima in una delle sue tre charity school e poi nel ricovero per lebbrosi alle porte di Varanasi.
Ci si senti piccoli piccoli in quei posti, ma si avverte anche la consapevolezza di poter fare qualcosa, ognuno per quello che può e per quello che sente.
Forse la fotografia di viaggio è anche questo, non solo una bella inquadratura o un angolo singolare, forse è anche un modo per avvicinare alcune realtà disperate e poco note e farle conoscere e contribuire.
La bimba ritratta nella foto vive nel ricovero per lebbrosi. È quasi muta, ma il suo sguardo urla.
La lettura serale
Stavo rientrando in albergo dopo una lunga giornata passata a fotografare per le strade di Old Delhi.
Ormai sera e molto stanco, i negozi che si affacciano sulla strada stavano abbassando le saracinesche e le strade cominciavano a svuotarsi lentamente.
Ad un certo punto mi imbatto in un uomo, allungato sul suo charpoi, intento a leggere, illuminato appena dalla luce fioca di una lampadina appesa al soffitto.
Poca luce e poco tempo.
Dovevo decidermi se provare o tirare dritto verso una meritata doccia calda.
Volevo rendere l’atmosfera intima di quel momento.
Macchina in manuale e lettura dell’esposizione spot sulla pagina del libro – uno dei pochi particolari in luce della scena, la macchina così’ ha chiuso, lasciando intravvedere appena i dettagli della scena, ma contribuendo a rendere il tutto più interessante.
La fotografia di viaggio è anche questo: ragionare velocemente e mettere via la macchina solo una volta arrivati a letto.
Che cos’e un’avventura fotografica?
Stage, workshop, corsi, foto tour, photo-trek… chi più ne ha più ne metta! e ora mi ci sono messo anch’io con le mie AVVENTURE FOTOGRAFICHE.
Cos’è un’AVVENTURA FOTOGRAFICA?
Le mie avventure fotografiche sono un’esperienza unica a meta tra un workshop e un phototrek.
WORKSHOP
Solitamente un workshop è di breve durata, spesso durano appena un weekend, se non addirittura una sola giornata.
Il focus di un workshop è molto preciso – o così dovrebbe essere – e molto circoscritto e viene sviscerato a fondo, concentrando pratica e teoria nelle poche giornate o ore a disposizione.
Il livello di attenzione richiesto è elevato e anche la devozione.
Durante un workshop i tempi sono serrati e viene lasciato poco spazio al puro divertimento,
PHOTO-TREK
I photo-trek sono invece esperienze che si sviluppano su più tempo, solitamente una o due settimane. Generalmente si tengono in posti esotici e hanno lo scopo di mettere i partecipanti al cospetto di possibilità fotografiche uniche, insomma chi si iscrive ad un photo-trek deve sapere che l’aspetto critico/teorico è piuttosto sacrificato e che a volte gli insegnanti si limitano a portare il gruppo a fotografare.
LE MIE AVVENTURE FOTOGRAFICHE
Innanzitutto le mie avventure nascono da esperienze personali, sono cioè tagliate su progetti che ho già affrontato e portato a termine negli anni, questo mi dà la garanzia di potermi muovere con grande agio nei luoghi che propongo, sapendo esattamente quello che vale la pena vedere, fotografare e soprattutto, avendo già affrontato personalmente la cosa, come e quando.
Ogni avventura per me è un po’ come condividere il mio bagaglio di esperienze personali sia a livello fotografico, sia di viaggiatore.
Tutte le avventure si sviluppano nell’arco di 7/8 giorni, un tempo che ritengo pienamente sufficiente per affrontare e sviluppare sul campo le possibilità che i luoghi di destinazione offrono, senza venir presi dalla fretta e senza però dare spazio a noiosi tempi morti.
Gli spostamenti sono volutamente limitati, in modo da dedicare il più tempo possibile a alla pratica, perché il focus di ogni avventura è appunto la pratica, senza però escludere i momenti di critica, revisione e teoria.
Insomma, le Avventure Fotografiche sono quello che io credo essere il giusto compromesso tra un workshop e un photo-trek, sia in termini di durata, di approfondimento degli argomenti, di concentrazione e di prezzo, strizzando l’occhio all’avventura e al viaggio.