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Storytelling: come scegliere le storie da raccontare
Spesso me lo chiedo io stesso: “cosa racconto?”
Non c’è una risposta precisa a questa domanda così personale. Esistono categorie narrative dentro le quali cercare o, attraverso le quali, mettere a fuoco il soggetto della nostra narrazione.
Il livello di interesse che la nostra storia può suscitare è chiaramente legato alla nostra capacità di narrare fotograficamente, ma anche al soggetto scelto, soprattutto in rapporto con il potenziale pubblico a cui ci riferiamo, e naturalmente all’approccio e al tono di voce scelto per raccontare.
Ad esempio, se scegliamo di raccontare i negozi di un particolare quartiere, al di là della nostra obiettiva capacità di rendere i soggetti interessanti dal punto di vista fotografico, il soggetto risulterà molto più interessante e gradito alla comunità che ruota attorno al quartiere e se vogliamo invece allargare il nostro pubblico, dobbiamo fare in modo che o l’approccio o il linguaggio utilizzato sappiano interessare anche altri soggetti, che magari non vivono la quotidianità del quartiere – ad esempio, provare a centrare il racconto sul contrasto moderno vs. tradizionale o esaltare la caratteristica di mestieri in estinzione.
Esistono però caratteristiche generali che determinano l’interesse per il nostro soggetto:
Cominciamo ad elencare alcuni soggetti o macro-categorie che ci possono aiutare, per lo meno a partire per focalizzare meglio il soggetto della nostra storia.
Pensiamo a storie di:
- Persone
- Luoghi
- Oggetti
- Attività
- Collezioni (o oggetti simili tra loro)
- Istituzioni
Queste possono essere le aree dalle quali partire, che possiamo/dobbiamo incrociare con almeno una delle prossime caratteristiche narrative per approdare ad una storia interessante – o per lo meno potenzialmente interessante
- Universalità
Esistono temi universali – ad es. pace, amicizia, amore, le stagioni, il tempo, vecchiaia, giovinezza, ecc. – questi temi riscuotono spesso interesse, ma rischiano di portare la narrazione verso il cliché. Attenzione! - Prossimità geografica
Vicinanza con la comunità, ad esempio storie locali - Prossimità temporale
Il soggetto è molto attuale
- Unicità
Il soggetto è unico, singolare, non è mai stato trattato, è stato poco trattato, è stato trattato in modo diverso, ecc. - Estraneità geografica
Il soggetto è (molto) distante dalla comunità di riferimento (ad es. un documentario sulla vita in una dispersa valle del Dolpo, nel Nepal del nord) - Estraneità temporale
Il soggetto vive in un tempo lontano, ci sono soggetti, poi, che non hanno tempo. - Conflitto
Qualsiasi conflitto attira, il conflitto non deve per forza essere fisico. Minacce, disagi, denuncia, ecc. - Celebrità
Le celebrità – concetto del tutto relativo – hanno sempre un certo appeal, attenzione a trovare chiavi di narrazione singolari - Riscoperta
Riscoprire luoghi, proporre luoghi (comuni) con un tono di voce diverso è di per sé un progetto interessante.
Proviamo ora a fare un esercizio, proviamo a scegliere una delle categorie del primo elenco, ad esempio “attività” e una delle caratteristiche narrative del secondo elenco, ad esempio “celebrità”. La nostra storia potrebbe essere un progetto fotografico dedicato agli hobby dei politici, e se volessimo aggiungere un’ulteriore caratteristica narrativa potremmo usare “prossimità geografica” e circoscrivere i nostri soggetti alla giunta comunale cittadina, ad esempio.
Provate ora a creare possibili progetti – non importa quanto realizzabili – semplicemente incrociando categorie e caratteristiche.
Provate ora a distinguere a quale tipologie di storie appartengo e quali caratteristiche hanno (fingendo di pensare ad un pubblico potenziale di Milano) i seguenti progetti:
- “porte di Kathmandu”
- “i mestieri del passato che sopravvivono alla città (Milano)”
- “le stagioni nella Tuscia viterbese”
- “la scuola vista dalla prospettiva di uno scolaro di sei anni”
Scegliere un buon soggetto da raccontare è metà del successo di un progetto di story telling, non dimentichiamolo.
Raccontarlo in modo personale vale quasi la restante metà, in mezzo c’è la tecnica.
N.d.A.
Tra gennaio e febbraio, se siete interessati, organizzerò un workshop dedicato allo story telling fotografico, che si svilupperà su due weekend – nel primo cercheremo di fissare le basi teoriche della narrazione per immagini, sceglieremo un progetto da sviluppare e nel secondo weekend (ad un mese di distanza) condivideremo ed analizzeremo i vari progetti.
Se siete interessati tenete d’occhio questo blog o scrivetemi a info@waltermeregalli.it
W.M.
Story telling: allenare l’occhio

Dhaba – Kathmandu (Nepal). Con un briciolo di immodestia credo che questo scatto condensi occhio, cuore e macchina fotografica. Secondo voi?
L’arte di raccontare attraverso le immagini passa attraverso l’occhio, il cuore e la macchina fotografica, che per parafrasare uno dei più grandi visual story teller mai vissuti, Henry Cartier-Bresson.
Ma cosa significano occhio, cuore e macchina fotografica?
Se la macchina è la tecnica e il cuore, la passione. Che cos’è l’occhio?
OCCHIO – è la capacità di vedere, che va oltre il semplice guardare.
Se intendiamo raccontare una storia, dobbiamo prima riuscire a vederla.
Ho cominciato a cincischiare con la macchina fotografica al collo da ragazzino, guidato da un vecchio saggio la cui pazienza era inversamente proporzionale al talento, che non faceva che ripetermi, guardati attorno, testa di rapa, non smettere di guardarti attorno, devi essere curioso e devi imparare a guardare le cose a gambe all’aria. Allora non capivo proprio esattamente quello che il buon Pietro Donzelli cercava di dirmi, ma ci provavo, più per non deludere il grande vecchio e quando mi riusciva, il burbero Donzelli si lasciava sfuggire un “ah, a l’era l’ura!” – che dal milanese significa, finalmente, era ora.
Di quei primi giorni mi forse rimasta una cosa: LA CURIOSITÀ. Non possiamo raccontare una storia se la storia non ci incuriosisce per primi, se non ci interessa, se non ci appassiona.
La curiosità dev’essere la benzina che muove e che ci porta a vedere.
Non importa quanta competenza tecnica possiamo avere, se non siamo in grado di vedere, faremo sempre molta fatica a raccontare storie interessanti, singolari, toccanti.
La capacità di vedere si può allenare, imparando a prestare attenzione ai dettagli, guardando dove gli altri non guardano, per pigrizia o conformismo, mantenendo sempre alta l’attenzione e cercando un continuo connubio tra cuore e tecnica, avventurandosi su tecniche, sperimentando e cercando di mettere la tecnica al servizio della narrazione.
Non dobbiamo mai smettere di osservare.
Osservare i dettagli, osservare la luce, osservare le geometrie. Studiare la scena, che sia abbia o meno la macchina fotografica in mano. Immaginare l’inquadratura, immaginarla con tre diaframmi più chiusa, ripensarla ripresa con un grandangolo spinto. Osservare. Osservare le crepe dei muri, gli intonaci che si staccano, le pieghe del mento della cassiera che ci dà il resto e come la luce della finestra la illumini. Osservare!
Le storie sono continuamente davanti a noi, scrive Jerod Foster. Non posso che essere d’accordo con lui.
Quante volte abbiamo guardato lo scatto di un altro fotografo e ci siamo detti – con un filo di invidia, suvvia confessiamolo – “cazzo io questo mica l’ho notato” e magari quella scena l’abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni e chissà da quanto…
Le storie sono costantemente davanti a noi, vero è che alcune vale la pena di raccontarle più di altre, ma non è questo il punto, non ora. Il punto è che dobbiamo fare leva su una costante curiosità, che a sua volta scateni la nostra capacità di osservare il mondo che ci circonda.
Per quali motivi non vediamo le storie che abbiamo davanti?
Il motivo più ricorrente è l’abitudine. Dobbiamo imparare a guardare come guarderebbe uno straniero, anche se non è cosa facile.
Dobbiamo imparare a scomporre la realtà in micro-realtà. Ci accorgeremo della folla sulla Broadway se cominciamo ad osservare uno ad uno i diversi volti, le diverse espressioni. I dettagli sono un ottimo acceleratore di storie. Anche le grandi storie passano per i piccoli dettagli, impariamo ad usare la retorica, se funziona per gli scrittori, funziona anche per noi.
Raccontiamo le nostre storie attraverso il linguaggio delle figure retoriche – per iniziare almeno, per allenarci (a queste voglio dedicare uno dei prossimi post).
La sineddoche, ad esempio, la parte per il tutto. Ritraiamo un dettaglio per significare la totalità.
Spesso troppo presi dalla ricerca della storia perfetta, sottovalutiamo la forza del dettaglio, quando altrettanto spesso la storia è proprio nel dettaglio.
Alleniamoci a vedere i dettagli, farà bene alla nostra capacità di raccontare storie attraverso le immagini.