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10 trucchi per ritratti migliori

Andrea, architetto, ritratto in cantiere. Ambiente e dettagli (cassetto e mappa arrotolata) sostengono la storia in modo chiaro, ma non invadente: il soggetto resta il focus del ritratto.
Oh no! L’ennesimo decalogo che promette miracoli! Oh no-o-o-o!
Chiedo perdono, ci sono cascato a piedi dritti, ma ieri, alla ricerca dell’ispirazione su cosa pubblicare, mi sono ritrovato seduto sul divano a riflettere su che tipo di fotografia mi piace di più e mi sono risposto: il ritratto, non c’è dubbio.
Poi mi sono domandato perché e la risposta, la prima risposta che mi sono dato è stata: perché in ogni scatto si nasconde una storia, la storia della persona che ritraggo.
E allora ho provato a pensare a quello che faccio – quasi – ogni volta che ho la possibilità di scattare un ritratto e ho scoperto che è poi quello che fanno anche molti altri fotografi – anche molto, molto più dotati e quotati di me.
E allora… forse quella piccola routine può essere facilmente tradotta in un decalogo di piccoli espedienti pratici – non garantisco che vi faranno scattare ritratti migliori, ma sono convinto che potrebbero davvero farlo.
Ed ennesimo decalogo sia!
- SIATE CURIOSI
Fate domande. Se vi è possibile, incontrate il vostro soggetto con un po’ di anticipo – il massimo è bersi una cosa assieme, anche un semplice espresso. Usate quel tempo (d’oro) per conoscere chi state per scattare.
Fate domande, ma non trasformatele in un terzo grado.
Siate genuinamente curiosi. Se non vi viene, se non lo siete, se non lo sentite… lasciate perdere.
Se invece siete curiosi, chiedete, chiedete, chiedete… le risposte del vostro soggetto potrebbero innescare la vostra creatività, togliervi d’impiccio in situazioni di eventuale difficoltà, darvi punti di vista o linguaggi alternativi.
Cercate di comprendere il punto di vista del vostro soggetto. Non sempre ci riuscirete, sforzatevi di farlo. Può sembrare uno sforzo inutile ai fini della fotografia, ma – inspiegabilmente – non lo è. Empatia è la parola chiave. - METTETE A SUO AGIO IL VOSTRO SOGGETTO
È il segreto di Pulcinella, ma anche l’obiettivo più difficile da raggiungere.
Chi non è abituato a farsi fotografare, è nervoso, ansioso, non vede l’ora di finire, vive ogni click come una scudisciata.
Il vostro compito primo è provare a stemperare la tensione.
Sdrammatizzate, usate l’autoironia, usate la simpatia, usate la rapidità… qualunque trucco, ma mettete a suo agio (per quanto possibile) il vostro soggetto. - NON ABBIATE PAURA DI DIRIGERE.
Dite al vostro soggetto cosa volete che faccia, credetemi, non aspetta altro.
Fatelo con gentilezza, ma fatelo con chiarezza. Siate pazienti. Usate indicazioni semplici, elementari e aspettatevi che non vengano interpretate correttamente.
Non dite solamente “gira la testa”, guardando in macchina, piuttosto mostrate quello che intendete e sottolineatelo con le parole.
Cercate di ricordarvi che per il vostro soggetto tutto è ribaltato – la vostra destra è la sua sinistra. Potrebbe essere più efficace usare riferimenti ambientali del tipo “gira la testa verso la porta” o “appoggiati al tavolo”, che non “gira la testa a destra” e basta.
Non aspettatevi che il soggetto si metta esattamente nella posa che avete in mente, siate gentili e pazienti e guidatelo passo passo. Dopo i primi minuti, tutto comincerà a scorrere. Mai spazientirsi o sbuffare. - FATE USCIRE LE EMOZIONI E SIATE PRONTI A CATTURARLE
Questo forse avrei dovuto metterlo in testa, ma mi è venuto ora, per ciò…
Quando scatto un ritratto, non smetto mai di chiacchierare con il mio soggetto. Riprendo quello che ci siamo raccontati prima. Chiacchiero anche durante le pause. In modo casuale, di tutto, anche di argomenti che potrebbero essere scomodi, ma spesso sono proprio questi che fanno emergere le emozioni.
Cercate le emozioni e fatevi trovare pronti quando emergeranno, o sarà tutto lavoro sprecato. - USATE L’AMBIENTE
L’ambiente parla e racconta la storia del vostro soggetto. Usatelo, imparate a dosarlo, non fatelo parlare sopra il vostro soggetto, fate in modo che l’ambiente completi le informazioni sul vostro soggetto. Immaginate un ritratto ambientato come una di quelle vignette con i pallini da congiungere, l’ambiente ha la forza di sostenere la storia del vostro soggetto, di enfatizzarla, di sottolinearla, di completarla. Non datelo per scontato.
Di solito, prima di iniziare a scattare, mi faccio mostrare dal soggetto angoli che ama, mi faccio raccontare il motivo, li osservo e li immagino in macchina. Poi scatto.
Un soggetto ritratto in un ambiente familiare si rilassa e sente meno l’ansia – naturale – di essere fotografato. - CERCATE ALTERNATIVE
Anche se siete certi di avere lo scatto che cercavate, pensate ad un’inquadratura alternativa o ad una scena diversa.
Non ve ne pentirete. - PENSATE AL MOVIMENTO
Ritratto fa pensare a posa. Qualche volta il movimento può aggiungere quel quid che rende lo scatto memorabile.
Un semplice gesto della mano, un sorriso, un passo… qualsiasi cosa.Le zanzare e un sorriso colto al volo hanno dato una mano a creare un ritratto dal grande impatto
- FATE QUALCHE PAUSA
Chi non è abituato a farsi fotografare soffre terribilmente la macchina fotografica e questa sofferenza genera ansia e stanchezza. Fate pause, durante le quali cercherete di stabilire una relazione ancora più forte.
Evitate di fermarvi se sentite che il soggetto ha finalmente trovato il giusto feeling, ma non approfittatevene.
Non torturate i vostri soggetti con shooting oltre modo lunghi. - STABILITE UNA RELAZIONE SINCERA (e forte)
Non credo servano spiegazioni. Che dite!? - NON DIMENTICATE CHE LA FOTOGRAFIA È UN’ARTE
La creatività è ammessa!
Questi 10 punti riassumono più o meno quello che faccio io.
Sono piccole manie pratiche, con me funzionano, magari funzionano anche con voi.
Ogni soggetto ha la sua personalità, questo non va dimenticato, per ciò non è detto che quello che ha funzionato con uno, debba per forza funzionare sempre.
Siate flessibili, siate attenti.
Se state scattando un orso, non insistete perché si lanci in una conversazione fiume, ma non fermatevi al primo tentativo.
Ognuno ha la sua tecnica – io gioco molto con le parole, con l’autoironia e con le battute. Trovate la vostra e in bocca al lupo.
Ritratti con il grandangolo

Un ritratto ambientato impiegando una focale corta: tanto ambiente e sensazione di essere dentro la scena.
Certo, qualcuno storcerà il naso e attaccherà la solita tiritela “ma per i ritratti si usa un 80 mm!”… tutto vero, non sto vaneggiando, semplicemente vi dò un consiglio per provare qualcosa di alternativo in termini di composizione.
Perché un grandangolo
L’ampio angolo di ripresa offerto da un grandangolo consente di abbracciare ampie inquadrature e questo può generare ritratti ambientati con una certa personalità.
Per contro, saremo costretti ad avvicinarci molto ai nostri soggetti e questo, soprattutto per i più timidi di noi, non è certo un bene.
Se scegliamo di ritrarre un soggetto con il grandangolo, dobbiamo soprattutto pensare in termini di ritratto ambientato. Gli obiettivi con focale piccola non sono certo i migliori obiettivi per rendere i tratti somatici dei nostri soggetti, ma diventano strumenti interessanti per proporre il soggetto nel suo contesto. Cerchiamo però di tenere sempre sotto controllo le distorsioni tipiche dei grandangoli, nasoni e testone non sono mai punti a favore di un ritratto. Cerchiamo di tenere la macchina il più allineata all’orizzonte, evitiamo inquadrature alto/basso o basso/alto per limitare le distorsioni.
Un trucco per limitare le distorsioni delle linee verticali è quelllo di attivare la griglia del mirino ed ancorare la composizione dello scatto ad essa.
Al contario, potrebbe essere interessante dal punto di vista del linguaggio fotografico, esaltare le distorsioni prodotte dall’obiettivo. In questo caso, non siate pavidi, fatelo con giudizio, ma fate capire che non siete incappati in un errore tecnico, ma che state usando una certa creatività nell’inquadrare.Più vicini al soggetto, più intenso lo scatto
Lasciamo la timidezza a casa e scattiamo a distanza ravvicinata, questo ci aiuterà a produrre scatti con maggio pathos, lo spettatore si sentirà tirato dentro la scena, e, una volta affinata la tecnica, le nostre foto risulteranno più intense.Tutto a fuoco!
Se pensate ad un ritratto con un primo piano che si staglia su un bokeh perfetto… i grandangoli non sono il vostro pane!
Gli obiettivi grandangolari offrono una profondità di campo molto ampia, questo consente di mantenere sia primo piano, sia sfondo perfettamente a fuoco, ricordiamocelo e cerchiamo di sfruttare la cosa.
Scegliamo sempre sfondi interessant e che sappiano aggiungere significato al soggetto ritratto. Siccome lo sfondo risulterà quasi sempre a fuoco – esattamente come il soggetto in primo piano, facciamo in modo che lo sfondo non mangi il soggetto ritratto.
Molti fotografi da strada montano piccole focali per non dover metter a fuoco e per scattare alla cieca.
Per concludere: impiegare un grandangolo per fare ritratti può essere un modo per ampliare la nostra tecnica fotografica e per differenziare i nostri scatti.
SOS Nepal. Aiutatemi ad aiutare
E’ un altro appello che rivolgo a voi amici del blog.
Il Nepal, paese che amo e che conosco molto bene, è stato colpito da un’immane catastrofe, un terromoto che ha fatto oltre 5 mila vittime ed il cui numero rischia di raddoppiare, se penso alle condizioni del paese in una situazione normale (figuriamoci in un’emergenza di queste proporzioni).
Ho pensato di fare qualcosa, qualcosa di piccolo, è chiaro, ma “piccolo” è meglio di niente.
Qualche anno fa ho scattato la foto che vedete in apertura. E’ un dettaglio degli stupa di Boudanath, a Kathmandu.
Ho pensato di dar vita ad un’edizione straordinaria “fuori serie” destinata alla raccolta fondi.
La stampa, 26×18, certificata, numerata e firmata, è venduta a 50 euro, 20 dei quali verranno devoluti al conto corrente postale di Banca Prossima, dedicato aalla raccolta fondi per la popolazione nepalese.
Il prezzo comprende le spese di spedizione – io non guadagno nulla, sia ben chiaro questo, il resto dei 50 euro serve per la produzione e la spedizione.
Se qualcuno è interessato, per 10 euro in più, includo anche la cornice.
Non so quanto potrà fare, ma sono convinto che tutto serva in questi casi.
Aiutatemi ad aiutare.
Qui trovate il link che vi porta direttamente al mio store on-line. Per noi si tratta di una cena di meno, per i nepalesi può essere la differenza tra vivere e morire. Grazie
Walter Meregalli
Pensiamo a colori
Molto spesso non consideriamo il colore una valida chiave di composizione e questo è un errore.
Riconoscere e gestire la palette dei colori presenti in una scena, conoscere il modo di gestirli e di renderli è alla base di una foto di successo.
Pensate al ritratto di Steve McCurry più famoso – la ragazza afghana.
Al di là della drammaticità dello sguardo della ragazza ritratta, uno dei punti chiavi in termini competitivi del famoso scatto di McCurry, ma pochi sottolineano, è l’uso del colore. Il rosso spento del vestito della ragazza è complementare allo sfondo verde scelto dal fotografo americano. Un caso? No, non è un caso, si tratta di grande conoscenza della teoria del colore, sapere che due colori complementari – che stanno cioè di fronte l’un l’altro nella ruota dei colori – producono uno scatto vibrante e di grande contrasto.
Conoscere la teoria del colore è UN DOVERE per ogni fotografo e spesso l’uso creativo e capace determinano un buono scatto.
La percezione del colore
Ognuno di noi percepisce i colori in modo diverso, ma quasi tutti siamo pronti a definire i rossi e i gialli colori caldi, mentre i blu e i verdi colori freddi.
Questa percezione comune ci deve aiutare quando stiamo componendo uno scatto in termini di messaggio che vogliamo passare. Stiamo cercando di comunicare intimità, propenderemo allora nella scelta di una palette di colori caldi.
Il fotografo digitale ha poi dalla sua qualche trucco in più per intervenire sul risultato finale, ad esempio un bilanciamento del bianco creativo che può riscaldare o raffreddare ulteriormente i colori presenti.
Scatti con palette colori limitata
Spesso l’utilizzo di una palette ridotta – come nella fotografia in apertura di post – può dare origine ad immagini molto forti.
Cercare e saper tradurre in scatti scene dal sapore quasi monocromatico ha una forza tutta sua.
Imparare a lavorare con quello che si ha
Nella maggior parte dei casi ci troveremo a dover lavorare con combinazioni cromatiche già esistenti, a maggior ragione dovremo essere bravi ad individuarle, a cercare alternative all’interno di quello che la scena offre a prima vista.
Per fare questo è necessario essere esperti del colore.
Come valutare i concorsi fotografici prima di iscriversi

Con questo scatto ho partecipato al concorso dell National Portrait Gallery di Londra. Ho passato la prima selezione (immensa soddisfazione), ma non sono entrato nei finalisti che sarebbero stati inclusi nella pubblicazione annua ed esposti a St. Martin in the Fields
In quanti concorsi fotogrtafici, più o meno seri, più o meno articolati, ci imbattiamo ogni settimana?
“Soldi!”… “La tua foto in copertina!”…. “Super Premio in salami e formaggi!”… “Esposizione mediatica garantita!”…. “I tuoi scatti esposit alla NPG di Londra!”… e chi più ne ha più ne metta.
A prima vista i concorsi possono sembrare tutti una buona occasiona da non lasciarsi sfuggire, ma se così facessimo, ci ritroveremmo presto spennati – a colpi di 20/50 euro a iscrizione – e con la stessa fama o copertura mediatica dell’altroieri.
ALT! Poniamoci alcune domande prima di iscriverci al prossimo concorso fotografico.
Che cosa mi potrebbe portare?
Se ci iscriviamo ad un concorso è perchè vogliamo cavarci qualcosa. Cerchiamo di capire di cosa di tratta prima di iscriverci, qualunque cosa essa sia, soldi, fama, esposizione, la possibilità di accedere a workshop con fotografi di fama mondiale, la possibilità di pubblicare lo scatto vincente o di fare una mostra.
Quello che possiamo aspettarci si suddivide facilmente in
- FAMA – Qualsiasi tipo di esposizione successiva legata alla vittoria o ad un buon piazzamento
- PREMIO IN SOLDI – va da sé
- FEEDBACK – alcuni concorsi permettono di avvicinare fortografi di fama mondiale e scattare con loro o partecipare gratuitamente ad attività da loro svolte (corsi, workshop, sessioni di lavoro, ecc,-)
Chi siede nella giuria?
Questa seconda domanda è significativa quanto la prima. La giuria è composta da esperti o si tratta di un concorso basato sulla popolarità – tipico di Facebook, dove si vince a colpi di “mi piace” e di “condividi”.
I concorsi della seconda tipologia li lascio a chi lo fa tanto per divertiris a vedere quanti “amici” lo sostengono, personalmente preferisco concorsi dove la giuria è composta da esperti – questo non significa che i concorsi su Facebook non valga la pena farli, dipende se però a decretare il vincitore è l’esercito dei navigatori o un fotografo amministratore di un gruppo o di una pagina.
Chi ha diritto ai miei diritti?
Cerco sempre di leggere bene la parte relativa alla cessione dei diritti e vi consiglio di farlo ache voi.
Cercate la sezione dedicata a “come verranno utilizzate le immagini da voi sottoposte”. Un concorso serio si limiterà ad utilizzare le vostre immagini per promuovere il concorso stesso – potrebbe darsi che a questo segua una mostra e un catalogo.
Attenzione alle esche!
Molti concorsi sono semplicemente acchiappascatti: voi caricate le vostre immagini, pagate e loro acquisiscono i diritti in maniera totale, disponendone per qualsiasi utilizzo, anche a scopo di lucro. Evitate di iscrivervi!
Quanto costa?
La questione economica è sempre da valutare.
I concorsi seri prevedono diverse categorie di iscrizione, di solito a foto singola o ad essay (piccolo gruppo che risponde ad tema).
Tenete inoltre presente che se vi viene richiesto di partecipare inviando una stampa, la stampa non vi verrà restituita, a meno che non venga espressamente indicato nelle regole di partecipazione e di solito la cosa avviene a vostre spese, con il versamente di un contribuito per la postalizzazione.
Avete letto tutto e bene?
Leggete con estrema attenzione le regole di partecipazione e di ammissione per gli scatti (formati accettati, risoluzioni minime, risoluzioni massime, azioni di post-produzione ammesse, ecc.). Non c’è peggior beffa di iscriversi, pagare e vedere i propri scatti squalificati perche ritenuti non idonei o non conformi alle regole di ammissione.
Alcuni concorsi ammettono tutto – e non pensiate che si tratti di concorsi da quattro soldi, Nikon, ad esempio, ne organizza uno a livello mondiale dove qualsiasi intervento in post-produzione è ammesso.
La maggior parte dei concorsi è rigida su quanto potete photoshoppare uno scatto, di solito potete intervenire sull’esposizione, sul contrasto, sulla gamma tonale, qualche sharpening e stop.
Story telling: diventare dei piccoli esperti
Ernest Hemingway diceva che non si può scrivere di ciò che non si conosce e sono assolutamente d’accordo con Papa.
Per raccontare – soprattutto se scegliamo di raccontare attraverso la fotografia – dobbiamo acquisire una certa esperienza specifica dell’argomento che intendiamo trattare.
Ci sono modi diversi per farlo. Possiamo scegliere di raccontare soltanto di ciò che è la nostra vita o possiamo allargare le nostre conoscenze, facendo ricerche e documentandoci.
Personalmente, prima di affrontare la parte esecutiva di qualsiasi progetto, affronto una fase che sento altrettanto importante, quella che chiamo l’immersione.
Faccio ricerche, cerco e raccolgo tutto il materiale possibile sull’argomento che andrò a fotografare, se mi è possibile mi reco sui luoghi che fotograferò e parlo con chi fotograferò.
Se il nostro progetto prevede donne o uomini, non possiamo non conoscerli, non parlare con loro, non provare a conoscere le loro abitudini, come la pensano, cosa fanno tutti i giorni.
Se il nostro progetto invece prevede luoghi, non possiamo pensare di non fare ricerca.
Il web è il nostro migliore alleato, ma non fermiamoci alla rete, usciamo, andiamo in libreria o in biblioteca, parliamo con fotografi che hanno affrontato l’argomento prima di noi o con amici o conoscenti che hanno visitato i luoghi o che in qualche maniera possono arricchire la nostra conoscenza dell’argomento.
Non risparmiamoci. FACCIAMO RICERCA!
Qualche anno fa ero alle prese con un progetto sui treni indiani. Era ovvio che avrei provato a viaggiare in tutte le classi disponibili, a tutte le ore, che avrei dormito in cuccetta, che avrei aspettato sulla piattaforma mangiando pakora e bevendo tè, e che avrei cercato di parlare con i passeggeri e con i capostazione o con gli addetti alle coperte per le tratte notturne. Era la sola maniera per portare a casa qualcosa di davvero personale. Questo è il mio modo di muovermi, ma non è detto che funzioni per tutti, quello che intendo dire è che più ci immergiamo nel progetto e più il progetto assume spessore e acquisisce nuove sfaccettature.
Scegliere un progetto è soltanto il primo passo.
Il secondo è di certo fare ricerca. Dobbiamo diventare dei piccoli esperti di quello che andremo a raccontare, solo così sapremo farlo al meglio delle nostre capacità.
Ricerca! Ricerca! Ricerca! La questione è fin troppo semplice.
Ciò non significa che dobbiamo prendere una laurea breve in ogni argomento che intendiamo fotografare, ma di sicuro conoscere i dettagli e gli aspetti del mondo che vogliamo ritrarre non potrà che fare bene ai nostri scatti, oltre che a noi stessi.
Manteniamoci curiosi!
Due anni ero alle prese con un libro che celebrava alcune eccellenze enogastromiche italiane e, credetemi, scoprire come si produce la liquirizia dal più antico produttore italiano è un dettaglio che mi ha arricchito e che ha influenzato la fotografie che poi sono andato a scattare, così come ascoltare un produttore di mieli trentini parlare delle sue api come di compagne vere e proprie o l’anziano produttore di limoni di Amalfi, che ama sua moglie da oltre sessant’anni e che te lo racconta con quello scintillio negli occhi, mentre ti versa da bere il terzo amaro a casa sua.
Scoprire come si produce la liquirizia o il mielo o quanto ama sua moglie il produttore di limoni non migliora la nostra tecnica fotografica, ma arricchisce la nostra sensibilità e mi piace pensare che la fotografia sia soprattutto sensibilità.

Il barone Amarelli, produttore di liquirizia di Rossano Calabro. La sua azienda produce liquirizia da 17 generazioni e scoprire come si produce la liquirizia è un bon modo per produrre una buona storia
Storytelling: come scegliere le storie da raccontare
Spesso me lo chiedo io stesso: “cosa racconto?”
Non c’è una risposta precisa a questa domanda così personale. Esistono categorie narrative dentro le quali cercare o, attraverso le quali, mettere a fuoco il soggetto della nostra narrazione.
Il livello di interesse che la nostra storia può suscitare è chiaramente legato alla nostra capacità di narrare fotograficamente, ma anche al soggetto scelto, soprattutto in rapporto con il potenziale pubblico a cui ci riferiamo, e naturalmente all’approccio e al tono di voce scelto per raccontare.
Ad esempio, se scegliamo di raccontare i negozi di un particolare quartiere, al di là della nostra obiettiva capacità di rendere i soggetti interessanti dal punto di vista fotografico, il soggetto risulterà molto più interessante e gradito alla comunità che ruota attorno al quartiere e se vogliamo invece allargare il nostro pubblico, dobbiamo fare in modo che o l’approccio o il linguaggio utilizzato sappiano interessare anche altri soggetti, che magari non vivono la quotidianità del quartiere – ad esempio, provare a centrare il racconto sul contrasto moderno vs. tradizionale o esaltare la caratteristica di mestieri in estinzione.
Esistono però caratteristiche generali che determinano l’interesse per il nostro soggetto:
Cominciamo ad elencare alcuni soggetti o macro-categorie che ci possono aiutare, per lo meno a partire per focalizzare meglio il soggetto della nostra storia.
Pensiamo a storie di:
- Persone
- Luoghi
- Oggetti
- Attività
- Collezioni (o oggetti simili tra loro)
- Istituzioni
Queste possono essere le aree dalle quali partire, che possiamo/dobbiamo incrociare con almeno una delle prossime caratteristiche narrative per approdare ad una storia interessante – o per lo meno potenzialmente interessante
- Universalità
Esistono temi universali – ad es. pace, amicizia, amore, le stagioni, il tempo, vecchiaia, giovinezza, ecc. – questi temi riscuotono spesso interesse, ma rischiano di portare la narrazione verso il cliché. Attenzione! - Prossimità geografica
Vicinanza con la comunità, ad esempio storie locali - Prossimità temporale
Il soggetto è molto attuale
- Unicità
Il soggetto è unico, singolare, non è mai stato trattato, è stato poco trattato, è stato trattato in modo diverso, ecc. - Estraneità geografica
Il soggetto è (molto) distante dalla comunità di riferimento (ad es. un documentario sulla vita in una dispersa valle del Dolpo, nel Nepal del nord) - Estraneità temporale
Il soggetto vive in un tempo lontano, ci sono soggetti, poi, che non hanno tempo. - Conflitto
Qualsiasi conflitto attira, il conflitto non deve per forza essere fisico. Minacce, disagi, denuncia, ecc. - Celebrità
Le celebrità – concetto del tutto relativo – hanno sempre un certo appeal, attenzione a trovare chiavi di narrazione singolari - Riscoperta
Riscoprire luoghi, proporre luoghi (comuni) con un tono di voce diverso è di per sé un progetto interessante.
Proviamo ora a fare un esercizio, proviamo a scegliere una delle categorie del primo elenco, ad esempio “attività” e una delle caratteristiche narrative del secondo elenco, ad esempio “celebrità”. La nostra storia potrebbe essere un progetto fotografico dedicato agli hobby dei politici, e se volessimo aggiungere un’ulteriore caratteristica narrativa potremmo usare “prossimità geografica” e circoscrivere i nostri soggetti alla giunta comunale cittadina, ad esempio.
Provate ora a creare possibili progetti – non importa quanto realizzabili – semplicemente incrociando categorie e caratteristiche.
Provate ora a distinguere a quale tipologie di storie appartengo e quali caratteristiche hanno (fingendo di pensare ad un pubblico potenziale di Milano) i seguenti progetti:
- “porte di Kathmandu”
- “i mestieri del passato che sopravvivono alla città (Milano)”
- “le stagioni nella Tuscia viterbese”
- “la scuola vista dalla prospettiva di uno scolaro di sei anni”
Scegliere un buon soggetto da raccontare è metà del successo di un progetto di story telling, non dimentichiamolo.
Raccontarlo in modo personale vale quasi la restante metà, in mezzo c’è la tecnica.
N.d.A.
Tra gennaio e febbraio, se siete interessati, organizzerò un workshop dedicato allo story telling fotografico, che si svilupperà su due weekend – nel primo cercheremo di fissare le basi teoriche della narrazione per immagini, sceglieremo un progetto da sviluppare e nel secondo weekend (ad un mese di distanza) condivideremo ed analizzeremo i vari progetti.
Se siete interessati tenete d’occhio questo blog o scrivetemi a info@waltermeregalli.it
W.M.
Storytelling: la composizione e il ritratto
La composizione nei ritratti rafforza la connessione tra soggetto e fruitore.
Non basta scegliere l’elemento umano, non basta scegliere un ritratto e chiedere al soggetto di guardare dritto in macchina, soprattuto se poi componiamo in modo poco efficace o se addirittura non componiamo affatto – peccato capitale, per il mio modo di intendere la fotografia.
Comporre per un ritratto significa guidare l’attenzione di chi guarda sul soggetto, in modo inequivocabile e forte.
Usiamo tutto quello che le regole della composizione ci mettono a disposizione: simmetria, terzi, linee guida, forme, colore, e tutto il resto.
Partiamo da ciò che conosciamo, per poi sperimentare. Proviamo a comporre verticalmente, o orizzontalmente. Posizioniamo il soggetto ora sui terzi, ora al centro, ora su una linea guida. Inquadriamo dall’alto, inquadriamo dal basso. Sono tutte alternative che portano colori diversi al nostro scatto e, implicitamente, alla nostra storia.
Come per ciò che riguardava l’illuminazione (clicca qui), anche la composizione DEVE essere al servizio dello storytelling. La storia comanda, il resto deve fluire a sostegno.
Ognuno di noi ha regole di composizione che trova più congeniali, ma non è detto che funzionino per quello che stiamo cercando di raccontare. La composizione è un infrastruttura sulla quale costruire lo scatto, un po’ come la grammatica per lo scrittore, che non può mettersi alla tastiera ignorandone le regole – può poi decidere di romperle o modificarle, ma non può permettersi di non conoscerne.
Una grande penna, Josè Saramago, fa della rottura delle regole grammaticali di base uno stile personalissimo, ciò non significa che Saramago non conosca l’uso della virgola (pur il suo “Vangelo secondo Gesù Cristo” ne sia completamente privo).
Questo ci deve dire che prima di infrangere le regole della composizione, dobbiamo quanto meno conoscerle.
Peccato più grave, spesso dovuto all’ozio, è conoscere le regole della composizione, ma non prendersi il tempo e la briga di comporre.
Torniamo ancora un momento al ritratto…
Nel ritratto è bene limitare gli elementi che potrebbero distrarre l’occhio di chi guarda, a meno che la confusione dell’ambiente non sia un elemento narrativo.
Un peccato gravissimo è invece dimenticarsi oggetti vari all’interno dell’inquadratura – soprattutto attorno ai bordi.
Ciò che non è inquadrato NON esiste, l’ho eletto a mantra, ma altrettanto vero è ciò che includiamo nell’inquadratura HA un valore per chi guarda, questo non lo dobbiamo dimenticare – monito agli amici fotografi frettolosi.
Non preoccupiamoci di spostare il soggetto, se l’inquadratura e la composizione ne guadagnano. Molto spesso qualche decina di centimetri può fare la differenza, pensiamoci. Così come provare ad abbassare il punto di ripreso o alzarlo, anche qui molto spesso bastano pochi centimetri per raccontare una storia completamente diversa. Pensateci.
Simmetria, linee guida, terzi, curve, colori, luce/ombra, cornici, riflessi… tutti trucchi legati alla composizione che ci aiutano ad esprimere meglio la nostra storia.
Non significa che non dobbiamo più inquadrare ritratti centrati, ma che dobbiamo sempre scegliere la composizione che meglio esprime quello che vogliamo raccontare.

Umberto Galli per il libro “So Special” – Soggetto volutamente centrato e punto di ripresa più basso. Credo che la somma delle due scelte, una di composizione e di tecnica di ripresa, dia carattere a questo ritratto, lo stesso carattere di Umberto.
Consigli per gli acquisti –
“So Special” è un mio libro fotografico realizzato per Triumph Motorcycles Italie ed edito da Skira, in vendita dal 19/11 in tutte le librerie e che potete trovare anche cliccando qui: SO SPECIAL, un viaggio nel mondo delle special Triumph
Storytelling: la luce nei ritratti

Styven Fani per il libro “So Special” – Lo sfondo (storica Canottieri Firenze) completa la storia, era necessario farlo risaltare, ma al tempo stesso staccare il soggetto e renderlo protagonista.
Nel post precedente ho tracciato quella che è secondo me è la forza e l’importanza del ritratto nel processo narrativo per immagini. In questo post cercherò di occuparmi di come illuminare i ritratti.
Salto a piè pari i ritratti rubati o quelli che eseguiamo in totale impossibilità di intervenire sulle condizioni di illuminazione – non diamo questa situazione troppo per scontata, perché a volte basta davvero spostare il nostro soggetto di poche decine di centimetri per ottenere un’illuminazione di gran lunga più interessante.
Questo è il punto: creare una luce interessante, soprattuto se stiamo eseguendo un ritratto.
Evitiamo la luce piatta, la luce piatta è una luce insignificante. Cerchiamo il contrasto, io personalmente amo accentuare i contrasti tra porzioni illuminate e aree buie, soprattutto nei ritratti.
La luce diffusa è la luce ideale per i ritratti, ma molto spesso rifuggo dallo scattare un ritratto con questo tipo di luce, a meno che la storia non lo richieda.
Ed ecco un altro punto fondamentale, cerchiamo sempre di illuminare il soggetto tenendo presente il tono e il tipo di storia che stiamo raccontando.
Chiediamoci sempre che tipo di scatto vogliamo realizzare, chiediamoci sempre prima che tipo di messaggio/storia stiamo raccontando con quel ritratto. Questo ci guiderà nella scelta della luce. Uno scrittore non può impiegare lo stile di scrittura di una fiaba per bambini se è alle prese con un noir ambientato a Parigi. Questo ci è chiaro, e chiaro ci deve essere anche l’uso della luce ( e non solo) al servizio della storia.
Cerchiamo la direzionali della luce, cerchiamo le ombre, usiamole. Usiamo i contrasti per raccontare un personaggio che ha risvolti forti, drammatici, per accrescere l’interesse.
Scegliamo una luce morbida e diffusa per accentuare la dolcezza di una ballerina, di un neonato.
Qualche volta cerchiamo di uscire anche dai cliché che tali illuminazioni standard inevitabilmente creano.
Qualche volta proviamo a mischiare le carte e a ritrarre un campione di kick boxing con una luce morbida, in high key e proviamo invece a ritrarre un’etoile con una luce cruda, di taglio, drammatica.
Proviamoci e vedremo che la nostra storia cambierà immediatamente registro – col rischio addirittura di diventare un’altra storia e questo potrebbe non essere quello che vogliamo.
Berengo-Gardin diceva “prima pensa e poi scatta”, facciamone tesoro, anche quando siamo chiamati a scegliere che tipo di luce usare per un ritratto. Pensiamo alla storia che stiamo raccontando e regoliamoci di conseguenza.
Non dimentichiamo però che siamo alle presi con il volto umano e che dobbiamo soffermarci sulle sue fattezze e cercare la luce che ne esalta i tratti – che non significa per forza trovare la luce che renda il nostro soggetto bello, ma INTERESSANTE SEMPRE.
Dobbiamo sempre prendere in considerazione la direzione della luce e il modo in cui la luce colpisce il nostro soggetto.
Ispiriamoci ai pittori del passato, ispiriamoci a Caravaggio (!) o Rembrandt (!) e cerchiamo di ricreare nel possibile illuminazioni simili.
A proposito di Rembrandt… una luce molto in voga tra in ritrattisti è appunto quella che viene chiamata luce Rembrandt, proprio perché riprende il gusto e l’effetto che il grande pittore fiammingo aveva per l’illuminazione.
La luce Rembrandt è tanto semplice quanto efficace. La luce principale, ma anche unica, è morbida, ma concentrata e deve illuminare il soggetto dall’alto, a circa 45° e non deve essere frontale, ma leggermente disossata – diciamo altri 45° rispetto all’asse obiettivo/soggetto.
Il risultato è il volto del soggetto illuminato parzialmente, con una sorta di triangolo luminoso tra occhio e zigomo nella porzione in semi-ombra – sulle dimensioni e sulla posizione del triangolo di luce i puristi si accapigliano da sempre, ma come potrete immaginare, lascio a loro questo passatempo…
Ecco un esempio di luce rembrandt, realizzato con un SB900, montato dentro un softbox 60×60 e attenuato da una griglia. La posizione non è la canonica 45°/45°, ma più vicina ad una 30°/30°:

Oscar Beltrami per il libro “So Special” – Un esempio di luce Rembrandt, anche se il triangolo di luce sotto l’occhio nella parte più in ombra non risulta molto definito (lo lascio ai puristi). Credo che in ogni caso, la luce di questo scatto contribuisca a rendere il ritratto molto intenso
In ogni caso, ispiratevi, siate certi di aver chiaro quello che state raccontando, guardatevi attorno, modificate, se potete, la luce a disposizione e scattate.
Consigli per gli acquisti –
“So Special” è un mio libro fotografico realizzato per Triumph Motorcycles Italie ed edito da Skira, in vendita dal 19/11 in tutte le librerie e che potete trovare anche cliccando qui: SO SPECIAL, un viaggio nel mondo delle special Triumph
Workshop di street photography a Milano
Ieri abbiamo chiuso il secondo workshop di street photography – che anche questa volta mi ha visto arrivarci con un filo di voce e una sana stanchezza nelle gambe e nella schiena, due sintomi che mi dicono che è andata bene.
Ed è andata bene, davvero… Anche questa volta la formula si è dimostrata vincente e i due giorni dedicati alla street photography sono stati ricchi di stimoli e molto interessanti, sia dal punto di vista della fotografia, sia dal punto di vista umano. La street photography è un argomento che a prima vista può sembrare semplice da affrontare, molti (troppi) erroneamente pensano che la street photography sia una tecnica, ma in realtà è un modo di approcciarsi alla fotografia, un linguaggio (o un meta-linguaggio direbbero i puristi), per cui presuppone che da parte dei partecipanti ci sia una certa predisposizione, non che una certa familiarità con le tecniche base e avanzate, oltre che ad una certa esperienza pratica.
E questo ci dovrebbe dare la misura di quanto poco sia semplice affrontare e condensare un argomento tale con un gruppo eterogeneo & anarchico in una due giorni.
Ma andiamo oltre.
Come al solito, quando termino un workshop, mi pongo alcune domande, prima di tutto mi chiedo se i partecipanti lo hanno trovato interessante e se questi due giorni hanno offerto spunti nuovi per la loro fotografia e il solo modo che ho di saperlo è di chiederlo direttamente al “gruppo” – che per la cronaca ha ammesso di aver trovato il workshop utile.
Poi mi doando se chi ha partecipato si è divertito – sì, divertito, perché penso che il divertimento sia davvero fondamentale.
E ancora una volta, il solo modo di conoscere la risposta e porre la domanda direttamente ai partecipanti – che per la cronaca, sempre per la cronaca, hanno tutti dichiarato di essersi divertiti.
Bene, dovrei sentirmi appagato – e lo sono, in realtà.
Ma poi mi pongo la solita domanda, forse la più singolare per qualcuno che organizza un workshop si possa chiedere: e io cosa ho imparato?
Io in questi due giorni ho imparato che non bisogna demordere, anche quando il primo giorno il gruppo di partecipanti si dimostra molto poco concentrato sul tema. Anzi, bisogna pungolarli, stimolarli, trovare un linguaggio comune e anche il gruppo più anarchico ti ripagherà con un secondo giorno che ha del miracoloso.
Ho imparato che forse sarebbe più semplice per me organizzare workshop facendo una selezione sulle reali capacità tecniche di ognuno dei partecipanti, ma che invece raccogliere la sfida di estendere i propri workshop a tutti – dal principiante che ha scartato la propria reflex solo tre giorni fa e che candidamente ammette che lui scatterà tutto in automatico, all’amatore esperto, che seppur sempre in modo garbato, cerca la sfida con il maestro e la sua approvazione – è stimolante perché ti costringe ad affrontare i problemi da punti di vista molto molto lontani e ti costringe ad usare linguaggi diversi.
Ma quando poi il principiante ti mostra forse la foto più significativa e più interessante del workshop, be’, allora senti di aver fatto proprio bene, anche se costa fatica.
Ho imparato che il momento più bello è quando il gruppo, questa volta davvero fin troppo nutrito (12), alle 4 del pomeriggio del secondo giorno viaggia muto su una carrozza de LeNord, a pezzi, ma visibilmente felice. Quel momento ti dice che hai fatto bene.
Ho imparato che il successo di un workshop si misura nella voglia di farne un altro subito, mentre ancora stai salutando i partecipanti di questo che si è appena chiuso.