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Storytelling: come scegliere le storie da raccontare
Spesso me lo chiedo io stesso: “cosa racconto?”
Non c’è una risposta precisa a questa domanda così personale. Esistono categorie narrative dentro le quali cercare o, attraverso le quali, mettere a fuoco il soggetto della nostra narrazione.
Il livello di interesse che la nostra storia può suscitare è chiaramente legato alla nostra capacità di narrare fotograficamente, ma anche al soggetto scelto, soprattutto in rapporto con il potenziale pubblico a cui ci riferiamo, e naturalmente all’approccio e al tono di voce scelto per raccontare.
Ad esempio, se scegliamo di raccontare i negozi di un particolare quartiere, al di là della nostra obiettiva capacità di rendere i soggetti interessanti dal punto di vista fotografico, il soggetto risulterà molto più interessante e gradito alla comunità che ruota attorno al quartiere e se vogliamo invece allargare il nostro pubblico, dobbiamo fare in modo che o l’approccio o il linguaggio utilizzato sappiano interessare anche altri soggetti, che magari non vivono la quotidianità del quartiere – ad esempio, provare a centrare il racconto sul contrasto moderno vs. tradizionale o esaltare la caratteristica di mestieri in estinzione.
Esistono però caratteristiche generali che determinano l’interesse per il nostro soggetto:
Cominciamo ad elencare alcuni soggetti o macro-categorie che ci possono aiutare, per lo meno a partire per focalizzare meglio il soggetto della nostra storia.
Pensiamo a storie di:
- Persone
- Luoghi
- Oggetti
- Attività
- Collezioni (o oggetti simili tra loro)
- Istituzioni
Queste possono essere le aree dalle quali partire, che possiamo/dobbiamo incrociare con almeno una delle prossime caratteristiche narrative per approdare ad una storia interessante – o per lo meno potenzialmente interessante
- Universalità
Esistono temi universali – ad es. pace, amicizia, amore, le stagioni, il tempo, vecchiaia, giovinezza, ecc. – questi temi riscuotono spesso interesse, ma rischiano di portare la narrazione verso il cliché. Attenzione! - Prossimità geografica
Vicinanza con la comunità, ad esempio storie locali - Prossimità temporale
Il soggetto è molto attuale
- Unicità
Il soggetto è unico, singolare, non è mai stato trattato, è stato poco trattato, è stato trattato in modo diverso, ecc. - Estraneità geografica
Il soggetto è (molto) distante dalla comunità di riferimento (ad es. un documentario sulla vita in una dispersa valle del Dolpo, nel Nepal del nord) - Estraneità temporale
Il soggetto vive in un tempo lontano, ci sono soggetti, poi, che non hanno tempo. - Conflitto
Qualsiasi conflitto attira, il conflitto non deve per forza essere fisico. Minacce, disagi, denuncia, ecc. - Celebrità
Le celebrità – concetto del tutto relativo – hanno sempre un certo appeal, attenzione a trovare chiavi di narrazione singolari - Riscoperta
Riscoprire luoghi, proporre luoghi (comuni) con un tono di voce diverso è di per sé un progetto interessante.
Proviamo ora a fare un esercizio, proviamo a scegliere una delle categorie del primo elenco, ad esempio “attività” e una delle caratteristiche narrative del secondo elenco, ad esempio “celebrità”. La nostra storia potrebbe essere un progetto fotografico dedicato agli hobby dei politici, e se volessimo aggiungere un’ulteriore caratteristica narrativa potremmo usare “prossimità geografica” e circoscrivere i nostri soggetti alla giunta comunale cittadina, ad esempio.
Provate ora a creare possibili progetti – non importa quanto realizzabili – semplicemente incrociando categorie e caratteristiche.
Provate ora a distinguere a quale tipologie di storie appartengo e quali caratteristiche hanno (fingendo di pensare ad un pubblico potenziale di Milano) i seguenti progetti:
- “porte di Kathmandu”
- “i mestieri del passato che sopravvivono alla città (Milano)”
- “le stagioni nella Tuscia viterbese”
- “la scuola vista dalla prospettiva di uno scolaro di sei anni”
Scegliere un buon soggetto da raccontare è metà del successo di un progetto di story telling, non dimentichiamolo.
Raccontarlo in modo personale vale quasi la restante metà, in mezzo c’è la tecnica.
N.d.A.
Tra gennaio e febbraio, se siete interessati, organizzerò un workshop dedicato allo story telling fotografico, che si svilupperà su due weekend – nel primo cercheremo di fissare le basi teoriche della narrazione per immagini, sceglieremo un progetto da sviluppare e nel secondo weekend (ad un mese di distanza) condivideremo ed analizzeremo i vari progetti.
Se siete interessati tenete d’occhio questo blog o scrivetemi a info@waltermeregalli.it
W.M.
Storytelling: la composizione e il ritratto
La composizione nei ritratti rafforza la connessione tra soggetto e fruitore.
Non basta scegliere l’elemento umano, non basta scegliere un ritratto e chiedere al soggetto di guardare dritto in macchina, soprattuto se poi componiamo in modo poco efficace o se addirittura non componiamo affatto – peccato capitale, per il mio modo di intendere la fotografia.
Comporre per un ritratto significa guidare l’attenzione di chi guarda sul soggetto, in modo inequivocabile e forte.
Usiamo tutto quello che le regole della composizione ci mettono a disposizione: simmetria, terzi, linee guida, forme, colore, e tutto il resto.
Partiamo da ciò che conosciamo, per poi sperimentare. Proviamo a comporre verticalmente, o orizzontalmente. Posizioniamo il soggetto ora sui terzi, ora al centro, ora su una linea guida. Inquadriamo dall’alto, inquadriamo dal basso. Sono tutte alternative che portano colori diversi al nostro scatto e, implicitamente, alla nostra storia.
Come per ciò che riguardava l’illuminazione (clicca qui), anche la composizione DEVE essere al servizio dello storytelling. La storia comanda, il resto deve fluire a sostegno.
Ognuno di noi ha regole di composizione che trova più congeniali, ma non è detto che funzionino per quello che stiamo cercando di raccontare. La composizione è un infrastruttura sulla quale costruire lo scatto, un po’ come la grammatica per lo scrittore, che non può mettersi alla tastiera ignorandone le regole – può poi decidere di romperle o modificarle, ma non può permettersi di non conoscerne.
Una grande penna, Josè Saramago, fa della rottura delle regole grammaticali di base uno stile personalissimo, ciò non significa che Saramago non conosca l’uso della virgola (pur il suo “Vangelo secondo Gesù Cristo” ne sia completamente privo).
Questo ci deve dire che prima di infrangere le regole della composizione, dobbiamo quanto meno conoscerle.
Peccato più grave, spesso dovuto all’ozio, è conoscere le regole della composizione, ma non prendersi il tempo e la briga di comporre.
Torniamo ancora un momento al ritratto…
Nel ritratto è bene limitare gli elementi che potrebbero distrarre l’occhio di chi guarda, a meno che la confusione dell’ambiente non sia un elemento narrativo.
Un peccato gravissimo è invece dimenticarsi oggetti vari all’interno dell’inquadratura – soprattutto attorno ai bordi.
Ciò che non è inquadrato NON esiste, l’ho eletto a mantra, ma altrettanto vero è ciò che includiamo nell’inquadratura HA un valore per chi guarda, questo non lo dobbiamo dimenticare – monito agli amici fotografi frettolosi.
Non preoccupiamoci di spostare il soggetto, se l’inquadratura e la composizione ne guadagnano. Molto spesso qualche decina di centimetri può fare la differenza, pensiamoci. Così come provare ad abbassare il punto di ripreso o alzarlo, anche qui molto spesso bastano pochi centimetri per raccontare una storia completamente diversa. Pensateci.
Simmetria, linee guida, terzi, curve, colori, luce/ombra, cornici, riflessi… tutti trucchi legati alla composizione che ci aiutano ad esprimere meglio la nostra storia.
Non significa che non dobbiamo più inquadrare ritratti centrati, ma che dobbiamo sempre scegliere la composizione che meglio esprime quello che vogliamo raccontare.

Umberto Galli per il libro “So Special” – Soggetto volutamente centrato e punto di ripresa più basso. Credo che la somma delle due scelte, una di composizione e di tecnica di ripresa, dia carattere a questo ritratto, lo stesso carattere di Umberto.
Consigli per gli acquisti –
“So Special” è un mio libro fotografico realizzato per Triumph Motorcycles Italie ed edito da Skira, in vendita dal 19/11 in tutte le librerie e che potete trovare anche cliccando qui: SO SPECIAL, un viaggio nel mondo delle special Triumph
Tra street photography e story telling. Workshop 8/9 novembre
Finalmente torno a postare dopo un mese immerso in un progetto fotografico bellissimo – ma faticoso – che ormai è quasi chiuso e che sfocierà in un libro (del quale non posso parlare ancora).
Il weekend dell’8 e 9 novembre terrò a Milano il secondo workshop dedicato alla street photography. Rispetto al primo, in questo secondo incontro cercherò di spostare l’accento dalla tecnica alla capacità di raccontare – lo story telling.
Il workshop si rivolge a qualsiasi tipologia di fotografa, dal principiante all’amatore, per partecipare basta possedere una reflex, un obiettivo e tanta voglia di fotografare e di condividere.
Come sempre, dò molto spazio alla pratica, con numerosi esercizi svolti sul campo e soltanto due parentesi teoriche in apertura di entrambe le giornate.
Il gruppo, per scelta, non supererà le dieci persone. Soltanto con un gruppo contenuto è possibile condividere le esperienze in modo efficace le esperienze e per me seguire i partecipanti, aiutarli e discutere gli aspetti più tecnici.
Tutti i dettagli – programma di massima e iscrizioni li trovate cliccando qui: WORKSHOP STREET PHOTOGRAPHY.
10 consigli per la fotografia di viaggio
Non si smette mai di imparare, anche se spesso proviamo a convincerci del contrario.
Ognuno di noi ha margini di miglioramento più o meno ampi, non dobbiamo smettere di sperimentare, non dobbiamo MAI pensare ‘non ho più niente da imparare’. NON È COSÌ!
Pensiamoci, possiamo migliorare la nostra tecnica o la composizione, possiamo approfondire la nostra capacità di raccontare storie attraverso le immagini, possiamo migliorare nell’impiego di un certo linguaggio. Ognuno di noi ha margini di miglioramento, basta volerlo.
Un caro amico, grande fotografo, parecchie decine di anni fa mi disse “non importa se non lo capisci adesso, c’è tempo” , certo, lui era un maestro di sessanta e passa anni e parlava ad un ragazzino appassionato di fotografia che aveva davanti tutta una vita per capire, ma il senso non cambia, c’è sempre tempo per capire, imparare e migliorarsi.
E nell’abbrivio di questa apertura, ecco alcuni consigli pratici – pratici, perché mi vengono dalla pratica quotidiana – per provare a migliorare la nostra fotografia e in particolare la fotografia di viaggio.
Li ho divisi in prima e durante… in questo primo post, I CONSIGLI PRIMA DI PARTIRE. Nel prossimo post, I CONSIGLI SUL POSTO.
PRIMA DI PARTIRE
1. Documentiamoci.
Documentarsi sul luogo che andremo a visitare e a fotografare è il primo passo. Un passo fondamentale, oltre che divertente.
Guide, libri, web, le informazioni sono ovunque e di solito abbondanti.
Informiamoci su monumenti, luoghi d’interesse, attrazioni, ma anche manifestazioni sportive, musicali, religiose.
Ci aiuterà a non perdere tempo e ci darà un’idea chiara di quello che ci aspetta.
2. Buttiamo giù una lista.
Quella che i professasti chiamano shot list. Proviamoci anche noi, se funziona per loro, chissà mai che funzionasse anche per noi…
Personalmente credo molto nel potere della lista. La lista è uno strumento che uso ogni volta che affronto un progetto fotografico, mi fa sentire sul pezzo e pronto a portare a casa il risultato.
Da dove si comincia?
Buttiamo giù un elenco degli scatti senza i quali non vogliamo tornare a casa. Ci accorgeremo presto che molto probabilmente si tratterà di un elenco di scatti, per così dire iconici e alcuni di loro risulteranno piuttosto ovvi, NON IMPORTA. Annotiamoli ugualmente e poi proviamo, per ognuno di essi, ad elencare alcune opzioni o alternative che possa renderlo meno scontato, più interessante. Ad esempio, se andiamo in India e andiamo ad Agra, non possiamo tornare a casa senza uno scatto del Taj Mahal, bene, annotiamolo in cima alla lista, tra l’elenco degli scatti obbligatori, poi pensiamo a come renderlo più nostro e scriviamolo a fianco.
La lista DEVE essere uno strumento per generare idee e non per costringerci. Ogni voce della lista DEVE spingerci ad esplorare altre possibilità.
La lista DEVE essere la partenza, non l’arrivo.
3. Scegliamo l’attrezzatura giusta
Gli inglesi hanno un modo di dire piuttosto colorito per indicare l’esagerazione, dicono ‘everything and the kitchen sink”, letteralmente ‘tutto, compreso il lavandino della cucina’. Ecco, evitiamo di portarci anche lavandino quando viaggiamo.
Facciamo mente locale e portiamoci tutta l’attrezzatura che pensiamo possa tornarci utile, pensando soprattutto che poi quell’attrezzar sarà il nostro fardello quotidiano. Personalmente non mi spaventa girare tutto il giorno con uno zaino di dieci chili in spalla, preferisco avere una lente in più che un’inquadratura in meno – molti invece sposano la filosofia contraria.
Viaggiare leggeri è un imperativo, la soglia della leggerezza però è un dettaglio che dobbiamo essere in grado di definire noi, in relazione al tipo di fotografia che prediligiamo, alle aspettative che nutriamo e, ovviamente, alla nostra capacità di caricarci come piccoli muli da soma.
Portiamoci quello che consideriamo indispensabile, ma, ancora più importante, QUELLO CHE CI PORTIAMO NON DEVE AVERE SEGRETI PER NOI!
Dobbiamo conoscere ogni funzione e ogni possibilità dell’attrezzatura che ci portiamo, è imperativo perché poi sul campo ci si possa dedicare semplicemente a fotografare.
4. Un po’ di riscaldamento serve
Anche i migliori atleti devono riscaldarsi. La regola può essere trasportata in fotografia.
Chi di noi scatta tutti i giorni, probabilmente, è sempre caldo e pronto. Chi invece fotografa meno frequentemente ha bisogno ogni volta di un certo periodo per familiarizzare con la macchina, con le inquadrature, con la composizione. Ecco perché ai secondi consiglio un po’ di riscaldamento in vista del viaggio, che so, magari un fine settimana o una giornata durante la quale portarsi dietro la macchina fotografica e scattare, senza troppe aspettative e senza troppe pressioni.
È umano avvertire la pressione se una vocina dentro di noi ci ricorda che con buona probabilità non torneremo più ad Angkor Wat, è umano. Ecco perché è bene arrivare caldi.
5. Coordiniamoci con gli altri
Personalmente, quando fotografo, viaggio da solo, ma non per tutti è così. Considero la fotografia una pratica molto intima. Fatico moltissimo a mostrare una qualsivoglia capacità relazionale mentre fotografo, motivo per il quale se fotografo viaggio da solo. Se invece siete in vacanza o in viaggio con altre persone, le quali magari non condividono la nostra passione per la fotografia, è fondamentale che vi coordiniate con chi vi è attorno. Organizzatevi, non imponete alzatacce all’alba a chi di cogliere quella luce magica non frega nulla. Ritagliatevi momenti vostri, dedicati a scattare, e integrateli con il resto delle attività che prescindono dalla macchina fotografica. Ahimè, quante vacanze e viaggi ha rovinato la passione smodata per la fotografia, pensateci per tempo, evitate di organizzare una gita alle scogliere perché sono un luogo incantevole per poi infliggere ai vostri compagni di viaggio interminabili attese, aspettando la luce. Otterreste un solo risultato certo: rovinarvi i viaggio – se non peggio.
Storytelling: la composizione è uno strumento potente

Anziana nella città vecchia di Varanasi. Composta sui terzi per rendere il ritratto più dinamico e lasciare intravvedere parte del suo mondo
La composizione è uno dei migliori alleati dello story telling per immagini, e faremmo bene a ricordarcelo!
Decidere cosa va nell’inquadratura e cosa invece no, decidere dove posizionarlo… queste sono le basi dalle quali partire per raccontare con efficacia la nostra storia fotografica e la composizione si occupa proprio di questo.
La composizione – cioè le regole attraverso le quali creiamo le relazioni visive tra gli elementi che compongono la scena – aiuta chi guarda a focalizzare la sua attenzione su ciò che per noi ha importanza, dal punto di vista del racconto fotografico, indica il soggetto principale, suggerisce relazioni, anche magari non così esplicite. Pensiamo alla composizione come ad una sorta di grammatica dell’inquadratura.
Amo ripetere questa frase:
ciò che non è nell’inquadratura non esiste
Questo per me è molto più di un diktat, qualcosa forse più vicino ad un mantra.
Con questo postulato bene in mente, cerco di capire come comporre al meglio perché la mia storia appaia evidente a chi non è lì con me in quel momento.
Perché credo che questo sia davvero il punto di partenza per ogni scatto: decidere cosa includere e cosa no ed essere consapevoli che quello che decidiamo di escludere non verrà mai letto da nessuno (lo sapremo solo noi che c’era un leone di fianco al bimbo che mangia il gelato, se non lo inquadriamo).
Per nostra sfortuna, però, è vero anche il contrario: tutto quello che includiamo nell’inquadratura assume un significato per chi guarda.
Anche questo deve essere una cosa da tenere a mente, per cui se includiamo un dettaglio, un dettaglio qualsiasi, quel dettaglio, per chi guarda, assume immediatamente importanza. Pensiamoci bene quando inquadriamo, perché non potremo dire a chi guarderà i nostri scatti “no guarda, quello non c’entra”…
La composizione, le sue regole, ci devono guidare per esaltare il messaggio che intendiamo trasmettere con i nostri scatti.
Lo storytelling fotografico passa inesorabilmente per le regole della composizione, come per lo scrittore è fondamentale la scelta dei verbi, che lo aiutano a rendere il giusto ritmo narrativo.
Nello storytelling per immagini non basta trovare un buon soggetto, un buon soggetto è un ottimo punto di partenza è poi l’occhio del fotografo, la sua sensibilità, il suo linguaggio fotografico che completano il processo. Occhio, sensibilità, linguaggio… passano tutti per la composizione.
Ricordiamoci che anche lo sfondo è un elemento della scena – troppo spesso ce lo scordiamo. Lo sfondo non va sottovalutato, dobbiamo dedicare lo stesso tempo che dedichiamo alla scelta del soggetto anche allo sfondo. Lo sfondo NON deve mangiare il soggetto, lo deve esaltare. Troppo spesso ottimi soggetti, che potrebbero trasformarsi in grandi scatti, vengono fagocitati da sfondi confusi e troppo presenti. Lo sfondo va usato come contesto e non come distrazione, deve aiutarci a raccontare meglio la storia, non affondarla.
LO SCOPO PRINCIPALE DELLA COMPOSIZIONE È QUELLO DI GUIDARE L’OCCHIO DI CHI GUARDA.
Abituiamoci a considerare l’atto di comporre – di disporre cioè gli elementi all’interno dell’inquadratura – come un momento imprescindibile del processo creativo che genera uno scatto fotografico.
Esploriamo le varie possibilità che la composizione ci offre. Cerchiamo quale composizione meglio possa raccontare la nostra storia. Terzi, simmetria, linee guida, curve, armonie di colori, colori a contrasto, forme… le regole sono molte, esploriamole, applichiamole, non fermiamoci a quelle più ovvie, sarebbe come per uno scrittore impiegare sempre gli stessi vocaboli.
Pensiamo all’uso della profondità di campo ad esempio (uno strumento tecnico/compositivo proprio della fotografia), pensiamo a come la capacità di mettere a fuoco in maniera selettiva questo o quell’elemento della nostra scena possa modificare, se non ribaltare, la storia che stiamo raccontando con la nostra macchina fotografica.
Non starò qui a dilungarmi oltre sulla composizione, troverete tutto e di più un po’ ovunque – ad esempio anche nel mio altro blog “Fotografia Facile” sotto la categoria “Composizione” – vi dò un consiglio, però: prendetevi il tempo necessario per comporre con attenzione, molto spesso un buono scatto diventa memorabile grazie ad un’attenta composizione.
Alcune regole di base per comporre:
- La simmetria
- La regola dei terzi
- Le linee verticali, orizzontali, diagonali e curve
- Le linee d’entrata
- Le forme
- La ripetizione degli elementi
- Quinte, cornici e vignette
- Più piani
- Il colore
– Cit. Gianni Berengo Gardin
7 consigli per fotografare i mercati.
Uno dei luoghi più interessanti dal punto di vista fotografico, quando siamo in viaggio, è di sicuro il mercato.
I mercati, soprattutto in Asia e nel nord Africa, sono spesso il fulcro della vita sociale ed è proprio lì che potremo scattare immagini indimenticabili del nostro viaggio.
Armiamoci di pazienza, prepariamoci a levatacce ed usciamo a fotografare.
Ecco 7 consigli presi dal campo:
- ALZIAMO GLI ISO
I soggetti di un mercato sono spesso all’ombra (tende e coperture varie), per questo non esitiamo ad alzare gli ISO, in modo da poter scattare con un tempo comodo che eviti qualsiasi mosso di macchina.
Cerchiamo di non scendere sotto 1/125″ - FLASH QUANDO SERVE
Va bene alzare gli ISO, ma spesso i nostri scatti avranno bisogno di un colpo di flash (clicca qui per leggere sull’impiego del flash in viaggio). Se possediamo un flash a slitta, usiamolo, altrimenti affidiamoci al piccolo flash incorporato (meglio di niente). Impostiamo il flash in TTL e compensiamolo negativamente (-1 o -1,5 EV), teniamo conto dell’esposizione che ci suggerisce la macchina e il gioco è fatto. - METTIAMO A FUOCO CORRETTAMENTE
Spesso sono i dettagli a fare la differenza.
Usiamo diaframmi aperti e mettiamo a fuoco con pazienza, è il modo migliore per ottenere foto singolari di mercati all’aperto.
Guardiamoci in giro e scattiamo le merci in esposizione, sono loro a raccontare la storia. Stacchiamo i dettagli dal resto. - COGLIAMO IL MOMENTO
Evitiamo di scattare a vanvera. Cerchiamo di essere pazienti e aspettiamo il gesto giusto.
Raccontiamo una storia! non limitiamoci a scattare semplici fotografie. - CERCHIAMO NUOVE PROSPETTIVE
Non sediamoci! Scattate le solite quatto e cinque foto canoniche, cerchiamo soluzioni diverse, sperimentiamo inquadrature insolite. - I CLIENTI SONO PARTE DELLA SCENA
Giriamo i nostri obiettivi anche verso i clienti e non soltanto verso i venditori. - RIEMPIAMO L’INQUADRATURA
Usiamo tutto il fotogramma, trasmetteremo la sensazione di essere sul posto a chi guarderà i nostri scatti.
Frutta, pesce, carne, spezie… usiamo tutta lo spazio a disposizione per immagini potenti.
8 consigli per chi fotografa

Un progetto di fotografia di viaggio può diventare una mostra o un libro e dare il via ad una raccolta di fondi, pensiamoci…
1. DIAMOCI UNA MOSSA
Basta pontificare, basta fare progetti sulla carta e continuare a dirsi appena ho un po’ di tempo lo faccio.
Portare a termini progetti fotografici di successo significa soprattutto portarli a termine!
Può sembrare una sciocchezza o un gioco di parole, ma è in realtà il segreto.
Nessun progetto fotografico sarà mai di successo se rimane nel cassetto o appuntato su qualche foglio o in qualche nota.
Dobbiamo uscire, dobbiamo mettere in pratica quello che abbiamo progettato di realizzare. È il solo modo per vedere se davvero i nostri progetti hanno possibilità di essere di successo.
2. IMPARIAMO
Non sediamoci mai sugli allori, continuiamo a fare ricerca, a documentarci, a studiare nuove tecniche, ad approfondire tecniche già conosciute. È il secondo segreto per progetti di successo.
La rete è la nostra miniera di conoscenza e poi nutriamo gli occhi con buona fotografia, impariamo a diventare divoratori di mostre fotografiche e di libri fotografici, ma facciamolo con l’umiltà di poter imparare qualcosa.
3. APPLICHIAMOCI
Non aspettiamoci che la creatività sprizzi dal nulla e si trasformi in scatti fatti e finiti e in progetti da mostra o da premio.
La creatività va nutrita e iterata e non dimentichiamoci che passa per l’errore, molto spesso.
4. GUARDIAMOCI DENTRO
La fotografia nasce da dentro e si materializza quando incontra il mondo esterno. Dobbiamo imparare a conoscere quello che inquadriamo, ma prima ancora quello che siamo.
5. NON SOTTOVALUTIAMO GLI ASPETTI TECNICI
La visione è fondamentale per la riuscita di un progetto, ma non dobbiamo assolutamente sottovalutare la tecnica. La fotografia è anche fasta di tecnica.
È nostro compito conoscere la nostra attrezzatura nel dettaglio, le possibilità e i limiti. La fotografia – per lo meno per come la intendo io – non è soltanto istinto.
6. PRENDIAMOCI I NOSTRI TEMPI
Portare a termine le cose non deve significare farle di fretta, né tanto meno farsi prendere dall’ansia.
Ozio e iperattività sono i nostri nemici, ma nel mezzo dobbiamo muoverci a nostro agio. Tempi giusti, modalità giuste. Nessuna fretta.
7. DIVERTIAMOCI
Non credo serva dire altro.
8. AIUTIAMO GLI ALTRI (se possibile)
I progetti che prediligo sono quelli che hanno un risvolto sociale e cerco di trovarlo ogni volta che mi è permesso. Poter aiutare chi ha bisogno attraverso i miei progetti fotografici per me è una soddisfazione grandissima. Pensiamoci, è più semplice di quanto si pensi e aggiunge quel piccolo plus che ci nobilita.
5 cose da tenere a mente per scattare ritratti migliori
Ecco cinque consigli pratici per scattare ritratti migliori, il sesto è… scattarne tanti.
- NOI e IL SOGGETTO
Consideriamo sempre attentamente il tipo di relazione che stabiliamo con il soggetto ritratto.
La ripresa è ravvicinata? il campo è stretto? il soggetto è inserito in un contesto?
Ricordiamoci anche che la posizione del punto di ripresa (in relazione al soggetto) è importantissima: un soggetto ripreso dal basso acquisisce importanza, mentre se ripreso dall’alto permette a chi guarda di stabilire un contatto più intimo e diretto. - DISTANZA
La distanza dal soggetto gioca un ruolo fondamentale.
E’ la distanza effettiva – o quella percepita – che ci dà la misura dell’intimità del ritratto.
La distanza di ripresa canonica per un ritratto (testa/spalle) è al massimo di pochi metri e per un ritratto ambientato non arriva quasi mai a superare i cinque. Supponendo di utilizzare un tradizionale ’80mm, la percezione che si ha del soggetto data dalla porzione di spazio occupata all’interno dell’inquadratura, è più o meno sempre la stessa, per cui l’occhio è abituato.
Modificare questa proporzione (distanza/ingombro) può essere motivo di interesse – anche se ciò non significa per forza produrre ritratti migliori. - LA LUCE
Poteva forse mancare!? Ovvio che no!
Pensiamo a che luce vogliamo, prima di scattare. oglio una luce morbida, capace di sottolineare l’armonia del volto? voglio una luce dura? voglio molto contrasto?
Se scattiamo all’esterno, chiediamoci se vogliamo utilizzare la luce calda delle golden hours o chiediamoci se il sole di mezzogiorno, di solito poco utile ai ritratti, non possa essere un fattore che andrà a distinguere i nostri scatti.
Se abbiamo deciso di miscelare flash e luce ambiente, pensiamo prima a che risultato vogliamo ottenere.
Molti fotografi scelgolo la via che associa sempre la stessa tipologia di luce sia flash, sia ambiente – cioè se si trovano a scattare con una luce ambiente morbida, aggiungono sempre un flash morbido, se invece la luce ambiente è dirette e decisa, aggiungono un flesh diretto e deciso. Personalmente non seguo questa regola, preferisco mischiare per ottenere effetti diverisi.
E maggiormente in studio, dove siamo noi a creare la luce. - IL GESTO
Molti di noi costringono il soggetto a pose immobili. E’ una tecnica come un’altra. Io preferisco che il soggetto si muova (senza esagerare), ma che soprattutto parli (anche se a volte i ritratti migliori nascono nelle pause di silenzio).
Un piccolo gesto della mano, uno sguardo abbassato a volte sono quel piccolo dettaglio che fanno diventare un ritratto un piccolo capolavoro.
Impariamo dunque a far parlare i nostri soggetti mentre scattiamo e non distraiamoci mai, neanche quando il soggetto magari parla con altri sul set. Anzi, spesso è dissimulando o fingendo disattenzione che cogliamo i ritratti più intensi, proprio mentre il soggetto non si aspetta di essere ripreso e finalmente abbassa la guardia e si mostra più naturale. Noi però dobbiamo farci cogliere pronti! - POSE BREVI
Ricordiamoci che davvero poche persone, eccezion fatta per le modelle e i modelli professionisti e per gli attori, si sentono davvero a loro agio di fronte alla macchina fotografica.
CERCHIAMO DI MANTENERE IL TEMPO PER SCATTARE UN RITRATTO IL PIU’ BREVE POSSIBILE. Non esasperiamo i nostri soggetti con interminabili sessioni, cerchiamo di essere rapidi e di evitare che il soggetto si stanchi – si stancano più velocemente di quanto noi si possa pensare.
Questo non vuol dire di mollare il colpo prima di essere certi di aver scattato la foto che stiamo cercando, ma semplicemente di imparare ad essere più rapidi con l’aritmetica e con tutto quello che ha a che fare con la tecnica.
La nuova Nikon D810
Faccio una doverosa – e dovuta – premessa: non è mia abitudine, in questo blog, dedicare spazio all’uscita di nuove macchine.
Faccio uno strappo alla regola, sperando che non me ne vogliate, annunciando la nuovissima D810 di casa Nikon.
Lo faccio perché posseggo e uso con grande soddisfazione una D800 e, dal giorno che l’ho acquistata e cominciata ad utilizzare, ho sempre pensato che Nikon non sarebbe riuscita a commercializzare un modello che sapesse proporre un così elevato rapporto tra qualità e prezzo.
Be’, la nuova Nikon D810 sembrerebbe avere tutte le carte in regola per smentirmi.
La nuova D810
Hanno fatto un lavoro di fino in casa Nikon e sono davvero riusciti ad alzare di nuovo l’asticella nel settore delle full frame (FX) amatoriali – anche se quest’aggettivo calza di sicuro stretto per le D800 e D800E, che tendono molto più verso il segmento pro.
36 megapixcel e una scelta radicale: via il filtro ottico AA – che era stato il distinguo tra i due modelli D800 e la D800E.
Personalmente, quando decisi di acquistare la D800, scelsi il modello con il filtro, proprio perché produce scatti più morbidi e senza ombra di moiré nelle trame. La scelta andava a discapito di immagini più incise e meglio dettagliate, lo sapevo da subito, ma non l’ho mai rinnegata.
Di sicuro il filtro ottico ha imposto un passo in più nel mio flusso di lavoro: tanto è vero che la prima azione che compio da due anni a questa parte, una volta importato il NEF da Camera Raw, è quella di applicare un filo di nitidezza (io personalmente prediligo la nitidezza avanzata), per recuperare artificiosamente un po’ di croccantezza.
Direte, ma allora perché non ti sei comprato la D800E? Troppa nitidezza non sempre aiuta, soprattutto se fai ritratti – pori, nei e punti neri non sempre sono un plus!
Torniamo alla nuova D810…
Una raffica migliorata. La D810 è infatti in grado di scattare fino a 5 fotogrammi al secondo, caratteristica che potrebbe accaparrarsi nuovamente l’interesse dei vari fotografi sportivi, delusi dai 4 f/s delle due 800 – personalmente vivo questo problema come marginale, ma comprendo le necessità degli altri, magari legati ad una frazione di secondo…
Anche la gamma ISO è stata ampliata e nel nuovo modello parte da 32 ISO, per arrivare al valore assurdo di 51.200 ISO(!), mantenendo eccellente la qualità di immagine anche a ISO piuttosto spinti.
Onestamente non ho mai spinto la mia D800 oltre gli 8000 ISO, ma devo dire che, anche scattando tra gli 800 e i 3600, il rumore resta davvero contenuto e la qualità complessiva del file finale alta.
Immagino che la nuova D810 sappia mantenere le stesse caratteristiche e che addirittura riesca a spingersi oltre.
Nikon ha poi lavorato sul sistema di messa a fuoco automatica, introducendo una particolare modalità “AF a gruppi” che promette una velocità di messa a fuoco straordinariamente rapida, anche in casi di scarsa illuminazione della scena.
Migliorato anche lo schermo LCD, che ora raggiunge i 1229 punti e sembrerebbe a prova di riflesso – finalmente!
E migliorato anche l’otturatore che, a detta della casa giapponese, dovrebbe assicurare una migliore stabilità e dettagli più precisi nelle riprese video.
Il nuovo sistema, infatti, sembra in grado di ridurre notevolmente le vibrazioni interne – dettaglio di non poco conto nelle riprese con tempi lunghi.
Nital, distribuire di Nikon in Italia, non ha ancora annunciato una data per il lancio del nuovo modello e, tanto meno, ha dato indicazioni sul possibile prezzo end user. Negli USA lo street price la nuova D810 (solo corpo) è di 3299 dollari – qualche spicciolo in più delle sorelle minori D800 e D800E, che vengono vendute attorno ai 2900 dollari.
Molti di noi sono ossessionati dalle tabelle comparative – confesso di esserlo anch’io qualche volta. Chi lo fosse, ossessionato o semplicemente curioso, può cliccare qui ed accedere ad una tabella piuttosto esaustiva che mette a confronto D810 e D800/E.
Da utente, sono molto soddisfatto della mia D800: mi ripaga di ogni euro che ho speso – anche se magari ci si mette un pochino, visto il prezzo pagato.
Per qualche centinaia di euro in più Nikon promette una reflex dalle prestazioni sempre più elevate e sempre più sovrapposte al segmento dei modelli professionali.
Il mio consiglio: se vi potete permettere la spesa… non tiratevi indietro.
Storytelling: è la luce a dettare il tono

La luce radente della mattina presto, la foschia e le ombre decise sulla gelata invernale. Un tono drammatico.
Lo scrittore ha a disposizione molti strumenti per creare il tono del suo racconto. È però fondamentale che il tono scelto sia coerente con il tipo di storia, con il carattere dei personaggi, con l’ambientazione scelta. Non perdoneremmo mai ad uno scrittore di far esprimere un giovane gangsta rapper come lo farebbe un damerino della Londra di fine Ottocento.
Il fotografo che si avventura nella storytelling visivo HA lo stesso dovere di mostrare coerenza – o se decide di rompere gli schemi deve essere padrone della tecnica e non deve farlo per ignoranza.
Nello storytelling fotografico è la luce che detta il tono o per dirla come i professionisti, che fa il mood.
Questa è una regola semplice, ma fondamentale.
Prima di pensare alla tecnica, prima di risolvere la cruda matematica di tempo & diaframma, scegliamo il tono che vogliamo dare alla nostra fotografia, di conseguenza avremo così scelto anche il tipo di storia che stiamo raccontando – e sarà anche più facile poi scegliere la posa del nostro soggetto o il luogo.
Mi piace pensare che NON ESISTA UNA CATTIVA LUCE IN ASSOLUTO, esistono pessimi utilizzi, che danno vita a brutti scatti, quasi tutti accomunati da una luce piatta, insignificante,
Se i verbi in un racconto rappresentano l’azione, sta allo scrittore trasmettere al lettore il ritmo, appoggiandosi alla grammatica e scegliendo le parole più evocative e adatte alle diverse situazioni. Nella fotografia esiste la luce, che può esaltare un ritratto intenso e suggerire a chi guarda la fatica o la gioia o la disperazione, suggerire l’emozione.
Quando scattiamo, i dettagli da considerare sono davvero essere molti e spesso ci si mette la fretta o le condizioni poco agevoli – soprattutto in viaggio – e qualche volta questi i motivi (più o meno giustificati) per i quali ci dimentichiamo il focus di quello che stiamo facendo: raccontare una storia attraverso uno scatto. Spesso la fretta ci fa scegliere per la via più breve e ci accontentiamo di una luce povera.
Pietro Donzelli, grande fotografo del neo realismo italiano, mi diceva spesso che la luce migliore è quella fatta di ombra.
Allora ero troppo giovane per capire, ma poi, con gli anni, ho colto il significato di quella frase, che potrebbe sembrare un paradosso.
Il contrasto tra chiaro e scuro è la chiave per raccontare con toni dinamici, forti. Ed è la luce che personalmente preferisco.
Ma credo che il segreto (di Pulcinella) sia conoscere le possibilità diverse di illuminazione e scegliere quella che è in grado di sostenere il racconto visivo del nostro scatto, di farlo arrivare, di sottolinearlo emotivamente.
Qualcuno griderà alla scoperta dell’acqua calda, come dare loro torto!? ma se guardiamo i numerosi brutti scatti che ci passano quotidianamente sotto gli occhi e poi ci soffermiamo invece sui capolavori della fotografia, non possiamo notare che, al di là del soggetto (ed eccezion fatta per la foto di reportage), i capolavori nascondono una maniacale cura per la luce impiegata, sempre coerente con la storia, anche quando il fotografo ha scelto di andare oltre le convenzioni.
La qualità della luce, l’intensità, la sua direzione, la temperetura, il contrasto, le ombre, definiscono il tono del nostro scatto.
La luce che scegliamo di usare stabilisce forse il primo contatto emotivo con chi guarda la nostra fotografia.
Se penso ad un ritratto di Keith Richards, penso immediatamente ad una luce decisa, che enfatizza il volto segnato da una vita al massimo, penso ad una luce drammatica, teatrale, fatta di chiari e di ombre intense. Non penso ad un bianco alla Toscani! Che non vuol dire che sia sbagliato provarlo, ma che di certo racconterebbe tutta un’altra storia e dobbiamo esserne consapevoli.
La scelta della luce adatta a quello che vogliamo raccontare vale sia che ci si stia cimentando con un ritratto, sia che si stia scattando un paesaggio.
La luce morbida dell’alba filtrata dalla bruma che ristagna sulla brughiera dà una sensazione completamente diversa dalla luce radente del tramonto: stessa inquadratura, due brughiere completamente diverse e due storie altrettanto diverse, perché le emozioni che provocano lo sonno. Due luci differenti, due mood differenti.

La bruma del mattino vela il duomo di Orvieto. La luce diffusa trasmette pace e silenzio, la giornata deve ancora cominciare
La luce NON è soltanto bella o brutta, la luce può essere
- intensa
- rassicurante
- morbida
- cruda
- drammatica
- avvolgente
- calda
- fredda
- …
… e si potrebbe continuare a lungo.
Questo soltanto per suggerirvi che se riusciamo ad andare oltre il dualismo stereotipato di bella/brutta, la luce (e i suoi aggettivi) può aiutarci a raccontare meglio fotograficamente.

La donna cieca aspetta il tè del mattino nel ricovero per anziani di Pashupatinath.
La luce è protagonista tanto quanto il soggetto, il tono della storia è intenso, non suggerisce leggerezza – perché non c’è leggerezza nella storia di questa donna.
La luce può essere davvero molte cose, una soltanto non deve esserlo mai: PIATTA!